di Marco Belpoliti (repubblica.it, 3 gennaio 2023)
Il parallelo è quasi invitabile: due corpi esposti nello stesso giorno dentro due diversi luoghi sacri. Quello di Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger, in San Pietro, la basilica della cattolicità mondiale, e quello di Pelé, al secolo Edson Arantes do Nascimento, nello stadio del Santos, tempio calcistico del Brasile e della comunità di tifosi di tutto il mondo. Un destino che li accumuna anche per la tecnica adottata nel conservare i loro corpi durante l’esposizione delle salme.
Per entrambi è stata applicata la “tanatoprassi”, una imbalsamazione temporanea attraverso un intervento nel sistema arterioso della circolazione che rallenta la decomposizione. Tutto questo serve per espletare le cerimonie di congedo dei due defunti, fondamentali per rendere loro omaggio, com’è accaduto nelle due cattedrali sin dalle prime ore in cui i corpi sono stati mostrati al pubblico. Non sarà dunque una imbalsamazione vera e propria, come fu fatta nel Novecento per le salme dei due pontefici del comunismo, Lenin e Stalin, il cui culto era propiziato dalla conservazione del corpo stesso esposto in un luogo di culto eretto a questo scopo nella Piazza Rossa; o per Mao, altro grande timoniere della rivoluzione, il cui corpo fu offerto alla religiosa devozione dei fedeli.
C’è da dire che questa pratica è stata patrimonio specifico dei regimi politici in cui l’elemento della santificazione del leader era indispensabile per continuare il suo culto post mortem. Fu mummificato Lincoln dopo il suo omicidio, poi anche Evita Perón, personaggio dotato di un carisma tutto suo, e di recente i corpi di due presidenti nord-coreani della genia Kim. La necessità di imbalsamare i due papi appena morti, quello cattolico e quello calcistico, non si porrebbe come indispensabile dal momento che, almeno nel caso di Papa Ratzinger, si applica la teoria dei due corpi del re, valida per tutti i sovrani e le teste coronate ancora in circolazione.
Nel XVI secolo i giuristi inglesi, come ha spiegato Ernst Kantorowicz, produssero una nuova concezione giuridica per cui il sovrano aveva due corpi, uno naturale e uno politico. Il primo è quello mortale, che va incontro a tutti i problemi dell’esistenza terrena, comprese malattie e infermità di vario tipo. L’altro, il corpo politico, è un corpo invisibile che il re riceve nella sua investitura a quel ruolo, e che sopravvive alla sua morte, e si trasmette per eredità ai discendenti. Tutto si fonda sul fatto che come Cristo ha due nature, una umana — è vero uomo — e una divina — è vero Dio —, così il re è un essere doppio: umano e divino.
I rituali funebri riservati a queste figure erano vari, dall’uso di manichini che riproducevano le fattezze del sovrano a quelli che invece comportavano il trattamento del morto come se fosse ancora vivo. Tutto questo dura fino a che non viene proclamato il successore, che a sua volta si carica di questa doppia natura. Papa Ratzinger ha di fatto liquidato il rituale della doppia natura con le proprie dimissioni, tanto da creare a suo tempo un problema di natura teologica, oltre che giuridica, con l’esistenza del Papa emerito, per cui la sua esposizione ora in San Pietro contiene elementi rituali nuovi.
Nel caso di Pelé siamo davanti a una figura che reca con sé la propria divinità legata al corpo mortale, mentre quello divino non ha forse ancora un erede diretto che lo possa sostituire prendendone il posto. Il suo passaggio attraverso l’esposizione ci dice che il calcio è circondato da un alone di sacralità; la figura di Pelé è più quella di un Santo che non quella di un Papa Re. Che la destinazione del corpo invisibile di Edson Arantes do Nascimento è perciò quella dell’icona sacrale e della leggenda, alimentata dall’esistenza di una memoria visiva: le registrazioni delle partite e dei suoi gol.
Qualcosa di ben più efficace del ricordo mnemonico dei singoli o della testimonianza fotografica. L’esistenza della televisione, e poi del web, prolungano il suo corpo invisibile in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio. Il sacro non è scomparso dal mondo contemporaneo, al contrario di quello che pensavano i filosofi e i teologi della secolarizzazione, ma permane ancora, seppur in forma ridotta. Come ha scritto Pasolini, «il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo», mentre le altre rappresentazioni sacre sono in declino compresa la messa. Il caso, o forse il destino, ha oggi messo i due spettacoli sacri a diretto confronto.