di Antonio Gurrado (ilfoglio.it, 10 agosto 2020)
Joe Biden, uno che sarebbe stato il candidato ideale nel 1976, è giustamente disposto a ogni possibile apertura alla modernità pur di battere Donald Trump. Leggo su Time un reportage che illustra la complessa strategia che la sua campagna sta mettendo in atto sul web, coinvolgendo esperti che producono contenuti specifici per ciascun tipo di social network. Ad esempio, per convincere gli elettori della Florida, i suoi social media manager hanno pubblicato su Twitter la lista degli speaker alla convention, su Instagram la foto di un cagnolino che segue la convention dal computer, su TikTok il video di una ragazza che indossa mise tipiche del luogo, su Pinterest la ricetta dei pancake ai mirtilli.Diciamoci la verità, Joe Biden fa bene. Fosse stato per lui, si sarebbe presentato agli elettori come se fosse ancora il 1976; ma Trump ha dato tale cattiva prova di sé che nessuna strada per batterlo va lasciata intentata. Quella è la priorità e come tale va affrontata subito. Probabilmente Joe Biden vincerà ma, finita la festa, dovrà porsi il problema immediatamente successivo: accettare che i social network riducano la politica ad animaletti, ricette della nonna e video demenziali? Dimenticare che è stata l’ultrasemplificazione della politica sui social il carburante dell’era trumpiana, con tutto ciò che ne è conseguito? Rassegnarsi a lasciare il destino politico del mondo nelle mani di quattro informatici multimiliardari che tengono in pugno le masse? Illudersi che milioni di americani abbiano davvero votato per lui e per il suo articolato programma, anziché per il cagnolino o per i pancake ai mirtilli?