di Giovanni Esperti (wired.it, 11 dicembre 2024)
La prossima volta che qualcuno dirà “trovati un lavoro vero invece di fare l’influencer”, mostrategli i dati di Aicdc (Associazione Italiana Content Digital Creators) e Icom (Istituto per la Competitività) sui numeri della cosiddetta “creator economy”, il settore di chi guadagna grazie ai contenuti che pubblica sui social. Secondo la ricerca – che si basa sui dati estratti da cinquecento profili con almeno diecimila follower attivi su Instagram, TikTok e YouTube – nel 2024, in Italia il settore ha prodotto ricavi per oltre quattro miliardi di euro.
La piattaforma che, in Italia, genera i ricavi più alti è senza dubbio Instagram (3,3 miliardi di euro), seguita da TikTok (447 milioni) e YouTube (280 milioni). Il reddito medio di un influencer, stando ai dati forniti, è di 84mila euro annui, con un picco di oltre un milione e mezzo per chi supera il milione di fan virtuali. Inoltre, le persone impegnate a tempo pieno in questo ambito sono circa 18mila.
La maggior parte di loro guadagna grazie a Instagram (più di 14mila), poi YouTube (quasi tremila) e TikTok (poco più di mille). A questi vanno aggiunti 33mila lavoratori inseriti in maniera “indiretta” nella content economy, che vanno dai fornitori di servizi tecnici a quelli amministrativi di cui si servono gli influencer. In totale, dunque, in Italia i posti di lavoro a tempo pieno generati dai nuovi mestieri digitali supererebbero i 51mila. La somma dei ricavi farebbe, appunto, quattro miliardi di euro.
Allargando lo sguardo alle altre piattaforme, emerge che il 94.3% degli italiani e delle italiane usa i social network. Facebook è quello preferito, con il 77.5% di iscritti, seguito a poca distanza da Instagram con il 75.3%. Nonostante ciò, TikTok è il luogo virtuale su cui passiamo più tempo: circa 32 ore al mese, contro le 15 di Instagram. Non solo: l’Italia è al terzo posto tra i Paesi del continente europeo per numero di content creator da diecimila follower: ce ne sono 82 ogni centomila abitanti. Prima di noi solo Spagna (106) e Regno Unito (94).
Da grandi poteri, però, derivano grandi responsabilità. Soprattutto se si pensa che, nel 2022, in Italia il reddito medio generale si aggirava attorno ai 34mila euro annui. Ecco perché l’Inps (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), insieme ad Aicdc, mercoledì 11 dicembre ha voluto presentare a Roma la bozza della circolare contenente le nuove norme contributive e previdenziali per gli influencer. L’obiettivo del documento è fornire i paletti per la previdenza dei lavoratori di questo settore tutto sommato nuovo per l’Istituto e i cui numeri sembrano destinati ad aumentare.
A partire dal prossimo anno, grazie al nuovo codice Ateco (una combinazione alfanumerica che classifica le attività economiche per ogni categoria), i creators potranno veder riconosciuta la loro professione ai fini contributivi e previdenziali. Dunque, come accade per tutti i lavori, pagheranno le tasse che, negli anni, serviranno anche a costruire la pensione. Una pensione che questi lavoratori (spesso giovanissimi) inizieranno a pagare «sin dal primo giorno di attività», spiega a Wired Antonio Pone, direttore generale vicario dell’Inps. Secondo Pone, la norma «proporrà uno schema chiaro cui i content creators potranno allinearsi progressivamente» in maniera autonoma o attraverso l’aiuto dei loro commercialisti.
In effetti, fino ad ora, non si sapeva bene dove collocare content creators e influencer nel mondo del lavoro. L’Inps ipotizza quindi l’inserimento di queste figure in tre categorie d’inquadramento previdenziale: la cosiddetta gestione separata (quella che finanzia la pensione per i lavoratori autonomi e a partita Iva) per chi svolge autonomamente la libera professione; la gestione commercianti (dedicata ai “titolari di un’impresa nel settore del commercio, terziario e turismo”) per gli influencer che svolgono attività d’impresa; oppure l’inquadramento nel regime destinato ai lavoratori dello spettacolo.
Come spiega a Wired il content creator e vicepresidente di Aicdc Mauri Valente, la bozza rappresenta innanzitutto «un importante riconoscimento dell’influencer come lavoratore a tutti gli effetti, e aiuta a distinguere tra chi fa il content creator di professione e chi no». Inoltre, risolve un’incertezza che per troppo tempo ha coinvolto anche i commercialisti: «prima, consigliavano a tutti di aprire la partita Iva». In questo modo, però, i nuovi lavoratori si trovavano con tanti codici Ateco diversi, assegnati in base alla “sensibilità” del commercialista stesso. Questa cosa impediva ai creatori di essere riconosciuti come una categoria ben definita.
La nuova bozza di circolare può servire anche ad aiutare le famiglie dei minorenni più famosi del Web. «Troppi genitori non sanno cosa fare se il figlio adolescente diventa virale su TikTok e si ritrova con le agenzie che gli propongono contratti», dice Valente. In questo modo le famiglie (che dovranno comunque continuare ad autorizzare eventuali proposte di remunerazione) sapranno che il ragazzo svolge un lavoro riconosciuto, per il quale pagherà le tasse.
Al momento, non è stato reso noto l’intero contenuto della bozza. Stando a quanto dichiarato da Antonio Pone, però, «il documento sarà presto inviato al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Contiamo di pubblicare le nuove norme entro la fine dell’anno o, al massimo, entro il 6 gennaio 2025». Il consiglio per content creator e commercialisti, dunque, è di tenere d’occhio i siti del ministero e dell’Inps a partire dalle vacanze di Natale.