di Enzo Boldi (giornalettismo.com, 6 novembre 2020)
Poca fantasia, stessi proclami. Anche otto anni dopo. Le proteste, già a poche ore dall’inizio dello spoglio negli Stati Uniti, seguono un copione già visto. Si parla di frode elettorale e si lanciano accuse senza fornire alcuna prova. Il tutto in attesa del verdetto definitivo che, probabilmente, vedrà il candidato democratico Joe Biden alla guida della Casa Bianca per i prossimi quattro anni. Ma Donald Trump non ci sta e continua a twittare senza soluzione di continuità, con messaggi dello stesso tenore di quanto pubblicato nel 2012 dopo la seconda elezione di Barack Obama.Teoria del complotto sullo spoglio, accusa sui voti per corrispondenza (lui ha invitato i suoi elettori a recarsi alle urne usando il sistema classico, quindi appare ovvio che da quando sono iniziate le operazioni di conteggio per il voto via posta i consensi ottenuti dal rivale Biden siano cresciuti segnando i sorpassi in Georgia e Pennsylvania). Denunce alla Corte Suprema per invitare i giudici a verificare l’esito del voto e invito – velato, ma neanche troppo – alle manifestazioni in strada. Una novità? No. Ecco cosa scriveva nel novembre del 2012, quando i risultati finali delle elezioni negli Stati Uniti consegnarono il secondo mandato consecutivo alla Casa Bianca nelle mani di Barack Obama, sconfiggendo il repubblicano Mitt Romney: «Non possiamo lasciare che accada. Dovremmo marciare su Washington e fermare questa farsa. La nostra nazione è totalmente divisa». E poi: «Queste elezioni sono una finzione totale, una farsa. Non siamo una democrazia!».
Insomma, le proteste di Trump seguono sempre la stessa falsariga. Nel 2012 invitava alla marcia su Washington, ma Obama stravinse quelle elezioni con 332 grandi elettori (61,7%) e consensi popolari pari al 51,1%. Lui stesso nel 2016 vinse la sua corsa alla Casa Bianca con un margine ridotto rispetto al suo predecessore: 304 grandi elettori (56,5%) e nel voto popolare ottenne solamente il 46,1% (contro il 48,2% di Hillary Clinton). Ma nel 2016 non parlò di brogli, non parlò di democrazia in pericolo. Insomma, come il bambino che porta via il pallone. O prova a portarlo via per non far giocare gli altri. E questo è l’uomo che ha ancora in mano la valigetta con i codici nucleari.