di Daria Galateria («Il Venerdì», suppl. a «la Repubblica», 16 marzo 2018)
Un rock zuccheroso, sette cantanti giovani e carine; le mascherine nere sugli occhi le rendono irriconoscibili: sono le Brigandes, un piccolo fenomeno della Rete. Attorno a Marianne, capogruppo, parigina tonificata dalle montagne del Midi, le ragazze compaiono in video ingenui, ma con arrangiamenti sapienti: i contenuti, in rime baciate, sono di destra estrema.Sono cattolicissime: «È patetico, pregare fronte a terra e culo per aria», cantano, tutte sorrisi bon enfant, «Brigitte Bardot e la sharia non si accorderanno mai»: Foutez le camp, andatevene. Si affaccia la parola “sottomissione”, dal romanzo di fantapolitica antislam di Houellebecq: e perfino race, razza, ma solo per far rima con menace, minaccia. Le Brigandes sono antimondialiste e sovraniste: ma nella forma della nostalgia della vecchia Francia che sta scomparendo; in È tempo di dire addio («alla terra dei nostri avi») compaiono le cuffie bretoni di merletto, peraltro già scomparse da tempo: «è una semplice evidenza / non siam più in Francia». E ce n’è per tutti i presidenti, dal gaullista Chirac a “Tonton” Mitterrand a Macron – ma «chiunque sia responsabile, sei tu (che lo voti) il colpevole». Una canzone si intitola Le grand remplacement, la grande sostituzione dei popoli europei con gli immigrati a basso costo, la teoria fantasiosa di Renaud Camus. Il gruppo vive in comunità, attorno a un guru; sicché viene sorvegliato da un organismo che vigila contro le sette. Il gruppo a sua volta ha chiesto protezione – non dai mussulmani: dai giornalisti, che infestano il quieto paesino più vicino.
I versi di Lili Marleen risalgono al 1915, ma la musica è del 1938, e di un vero nazista, Norbert Schultze, autore di canzoni di guerra. Nel 1941, trasmessa da Radio Belgrado, fu subito popolarissima tra le truppe tedesche; le autorità militari del Terzo Reich la tolleravano, mentre Goebbels, ministro della Propaganda, la detestava, trovandola nostalgica, e per nulla marziale. Intanto gli inglesi dell’VIII Armata che combattevano in Libia contro l’Afrikakorps adottarono la canzone; nel suo diario Goebbels annotò la notizia con soddisfazione. Ma dopo il disastro di Stalingrado la cancellò dai programmi per i militari; e contrastò la carriera dell’interprete (bravissima) Lale Andersen. In fuga dal 1941 dalla Francia occupata dai nazisti, l’attore Jean Gabin era in America, in piena passione con Marlene Dietrich – che già dal 1930 lavorava a Hollywood. Ben presto però l’attore si presentò a New York dal rappresentante di De Gaulle: voleva tornare in Europa a combattere i nazisti. «Siete più utile alla Francia al cinema», gli risposero; lui tenne duro e partì (pur detestando le armi, dall’Africa sarebbe arrivato a combattere in Germania). Nel 1944 la Dietrich, che era, e rimase a lungo, innamorata di Gabin, partì a sua volta per il Nord Africa, per intrattenere i soldati americani. Lili Marleen divenne un pezzo obbligato delle sue esibizioni: era arrivata in uniforme, ma gli Alleati la preferivano con le paillettes.