di Massimiliano Panarari («D», suppl. a «la Repubblica», 2 dicembre 2017)
Fantascienza, o fantapolitica? Le “guerre stellari” della comunicazione politica si fanno sempre di più a colpi di citazioni e di rimandi a un immaginario a metà tra la science fiction e i fumetti dei supereroi. E la fantascienza si afferma sempre di più come chiave di lettura dei fenomeni del nostro inquieto presente, e quale modello comunicativo (per la politica, appunto, come per l’azienda).Non è una novità in assoluto, naturalmente, ma si tratta di una tendenza enormemente intensificatasi nel clima d’opinione durante i due mandati di Barack Obama, il social media president (come lo ha definito il sociologo dei media James E. Katz), un leader particolarmente versato, anche per ragioni di età, nel mixare politica, generi dell’intrattenimento e trovate propagandistiche ricavate direttamente dalla cultura di massa. Proprio Obama, in una famosa intervista del 2016 sulla politica internazionale alla rivista The Atlantic, paragonò l’Isis al Joker, avendo chiaramente in testa il film Il cavaliere oscuro del 2008 di Christopher Nolan. E chi di Joker ferisce, di Joker perisce. A un meeting di raccolta di finanziamenti per il Partito repubblicano a Boca Grande (Florida, nel 2010), ai facoltosi sponsor venne distribuita una presentazione in power point in cui troneggiava una caricatura di Obama-Joker, sovrastata dalla scritta: “Socialismo”. Invece nel 2015 secondo l’Economist la comparazione con il supervillain nemico dell’Uomo pipistrello calzava a pennello per Donald Trump. La politica statunitense si è così ulteriormente affollata di Batman, Wonder Woman e personaggi di Star Wars e Star Trek. È il politainment: in una nazione fondata sulla cultura pop e della celebrità anche in politica, supereroi e personaggi fantascientifici sono, giustappunto, celebrity. E hanno il vantaggio di essere “scorciatoie cognitive”, poiché identificano in maniera immediatamente comprensibile i buoni e i cattivi. Al tempo stesso, sono indicatori dei cambiamenti di umore e opinione dei cittadini-elettori. Un discorso che vale per l’Occidente intero, come pure in maniera crescente per gli “altri mondi” (per usare sempre un’espressione cara alla science fiction). A vantare una tradizione gloriosa, e assai travagliata, è la fantascienza sovietica, sotto la quale si celava non di rado una critica al potere. E oggi, nella Russia del novello zar Vladimir Putin, a riscuotere un successo letterario comparabile (quasi) a Harry Potter sono le opere complete in 30 volumi dei defunti, e in vita censuratissimi, fratelli Arkadij e Boris Strugackij (una delle tante storie sarebbe stata plagiata, secondo alcuni intenditori, dal film Avatar di James Cameron). Due coraggiosi ebrei antistalinisti, e comunisti tenacemente utopisti, che in libri cult satireggiarono l’ottusità e disumanità di quel “socialismo reale” che si rovesciava in distopia. Come capire l’anfibia Cina contemporanea, al tempo stesso autocratico-comunista e turbocapitalista (con una spruzzata di neoconfucianesimo), tra esplosione delle differenze sociali e crisi ambientale da inquinamento atmosferico? Si rivela estremamente utile proprio la nouvelle vague di scrittori di fantascienza come Liu Cixin, Chen Qiufan e la giovane Hao Jingfang. E anche qui la cifra di lettura è la distopia, che permette alle società in crisi, o in velocissima mutazione, di rispecchiarsi in un altrove (temporale o spaziale) capace di funzionare come un transfert psicanalitico, un’autocoscienza collettiva via immaginario. Perché in situazioni e contesti di metamorfosi, è la fantascienza critica a intuire al meglio i movimenti profondi che stanno riorientando la direzione di marcia (e che, spesso, non sono esattamente quelli che vorremmo).