di Giuseppe Pastore (tg24.sky.it, 20 febbraio 2021)
Nei decenni il Festival di Sanremo è sempre stato attento a conservare un posticino per le canzoni ironiche, comiche o addirittura demenziali, portando sul palco artisti come Gigi Sabani, Marisa Laurito o Francesco Salvi, fino a vette come Il clarinetto di Renzo Arbore, secondo classificato nell’edizione del 1986 in una sarabanda di doppi sensi. Non mancano nemmeno casi di canzoni talmente malriuscite da risultare involontariamente comiche (meglio non fare nomi). Ma questo genere musicale assolutamente nobile, con fuoriclasse della dissacrazione come gli Skiantos o gli Squallor (nome dietro il quale si nascondevano artisti che hanno scritto decine di capolavori della musica leggera italiana), ha un prima e un dopo: l’apparizione a Sanremo nel febbraio 1996 di Elio e le Storie Tese.Nell’autunno 1995 inizia a girare una voce: per mantenere anche l’anno prossimo la quota demenziale, elargita come sempre in dosi omeopatiche per non turbare troppo l’italiano medio, Pippo Baudo starebbe pensando a Elio e le Storie Tese. Chi sono costoro? Ancora non conosciuti dal grande pubblico ma già molto popolari presso il pubblico più giovane (soprattutto nel Nord Italia) e gli appassionati di calcio per le loro magnifiche sigle di Mai dire Gol, si sono fatti notare per un grande disco (Italian Rum Casusu Çikty, uscito nell’estate 1992), per una memorabile esecuzione per dodici ore consecutive di Cara Ti Amo al Teatro dell’Elfo di Milano o per una censura subita a un Concerto del Primo Maggio durante l’esecuzione di Sabbiature, pezzo che ironizzava pesantemente sul governo in carica. Cosa vorrà Pippo Baudo da Nicola Fasani detto Faso, bassista; Davide Civaschi detto Cesareo, chitarrista; Paolo Panigada detto Feiez, formidabile polistrumentista; Sergio Conforti alias Rocco Tanica, pianista e tastierista; l’italo-svizzero Christian Meyer, batterista; Stefano Belisari in arte Elio, cantante e frontman? In Voci bruciacchiate, l’autobiografia del gruppo uscita nel 2012, si legge che «la prima risposta fu un indignato no, poi la curiosità ci fece cambiare idea e scrivemmo un brano che per un certo periodo ci sembrò così brutto che eravamo indecisi se andarci o no al Festival. Decidemmo che la nostra partecipazione sarebbe stata indimenticabile indipendentemente dalla canzone».
Sanremo 1996 è la quinta edizione consecutiva del Festival condotta da Baudo, alle prese in quei giorni con “storie tese” con la Rai (che pochi mesi dopo lo porteranno al secondo divorzio con breve passaggio a Mediaset) e un problema alle corde vocali per cui dovrà sottoporsi a un’operazione pochi giorni dopo. Affiancato sul palco da Sabrina Ferilli e Valeria Mazza, nervoso e affaticato, Baudo deve anche subire la feroce opposizione di Striscia la Notizia che, ironizzando macabramente sulle sue condizioni di salute, arriva a stampare dei finti manifesti funebri affissi nelle strade della cittadina ligure, su cui il conduttore non mancherà di ironizzare in diretta. Il 20 febbraio 1996, poco dopo le 21, Elio sale sul palco munito di parrucchino e con i suoi amici esegue per la prima volta La Terra dei Cachi, pezzo che si rivela unico e inimitabile fin dalla bizzarra introduzione, affidata al direttore d’orchestra Peppe Vessicchio: pronti, partenza, via. Il successo è clamoroso e va ben oltre la squisita fattura tecnica del pezzo, che coinvolge ogni strumento musicale dell’orchestra di Sanremo compreso il gong, suonato per separare la prima parte della canzone dalla marcetta – con vaghi accenti da Inno di Mameli – che costituisce la gran parte de La Terra dei Cachi. Tra i coristi compare anche Alex Baroni, che nell’edizione successiva gareggerà tra le Nuove Proposte e diventerà famoso con la bellissima Cambiare. Colpisce il testo, delirante solo all’apparenza, anzi ricco di geniale sarcasmo sulla malasanità («ti devo una pinza / ce l’ho nella panza»), le stragi mafiose («c’è un commando che ci aspetta / per assassinarci un po’»), la passione per il cibo e per il calcio, la tendenza all’auto-assoluzione e al volemose bene. Colmo di citazioni musicali, da Una lacrima sul viso a Papaveri e papere, e persino politiche, con «L’Italia non ci sta» che riprende il celebre «Io non ci sto» pronunciato qualche anno prima dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. L’exploit vale subito il primo posto nella classifica provvisoria e l’attenzione dell’intero Paese verso un gruppo che si fa programmaticamente beffa delle liturgie festivaliere, proclamando in ogni momento di voler arrivare ultimi e svelando il nulla delle conferenze stampa, dando risposte assurde a domande non meno assurde, ma inconsapevolmente.
Straordinari performer, gli Elii rendono memorabile ogni loro esibizione. Nella seconda serata Elio si presenta in scena con un braccio finto – una gag quasi spoilerata da Baudo nella presentazione –, mentre quello vero sbuca da sotto il maglione a metà canzone. Alla fine di ogni performance scende in platea a baciare il proverbiale “abbonato Rai”, ignaro vincitore di un concorso che l’ha portato in prima fila all’Ariston. Ancora più bello (e difficile!) il numero inscenato nella quarta serata, quando per un regolamento insensato le canzoni dei Big sono ridotte a una versioncina da massimo un minuto, riducendole a spot promozionali. C’è a malapena il tempo per cantare prima strofa e ritornello; a meno di non triplicare genialmente la velocità della canzone come fanno gli Elii, aiutati da una straordinaria prova d’orchestra («Ricordo il primo violino che si impegnò al massimo per eseguire le sue parti nella versione da un minuto al triplo della velocità. Sembrava Paganini impazzito», Faso). Riescono a completarla in 55 secondi nel tripudio generale e nello sbigottimento di Baudo: una versione che finirà anche nel successivo album Eat the Phikis, con il titolo Neanche un minuto di non caco, citazione di Neanche un minuto di non amore di Lucio Battisti e Mogol.
Alla vigilia della serata finale Elio e le Storie Tese continuano a guidare la classifica e sono diventati i favoriti per la vittoria finale, nonostante nomi pesanti come Giorgia, vincitrice dell’edizione del 1995. Il rock demenziale trionferà a Sanremo? La cosa non sembra agitarli più di tanto: per l’esibizione nella serata finale decidono di travestirsi da Rockets, un gruppo francese di rock elettronico in auge a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta e famoso per un look inconfondibile. «Il giorno della finale fui il primo a truccarmi da Rocket col fondo argentato, quello che quando ero piccolo dicevano che i Rockets erano morti intossicati dall’argento e che quelli che si vedevano erano sosia, cambiati di continuo perché anche i sosia morivano intossicati e ce ne volevano sempre di nuovi. Così alle tre e un quarto-tre e mezzo del pomeriggio ero già Rocket. Nel tragitto tra la stanza dell’hotel dove ci si truccava e la mia stanza incontrai Spagna. Lei si spaventò molto. Feci un sonnellino. Al risveglio non mi ricordavo più di essere Rocket, mi vidi allo specchio e mi spaventai molto» (Rocco Tanica). Costretti a truccarsi in hotel e non direttamente nei camerini dell’Ariston, gli Elii si recano all’Ariston già vestiti da scena, attraversando la città in motorino con le facce dipinte di vernice argentata.
La reazione del pubblico è sempre eccellente, gli Elii sono la vera rivelazione di un Festival che sembrava appassito tra tradizione e conformismo, in contrasto con le banalità sentimentali di quasi tutti gli altri pezzi in gara. Possono davvero vincere loro? Il verdetto finale, scandito da Baudo ben oltre la mezzanotte, li relega “appena” al secondo posto, superati al fotofinish dalla più tradizionale Vorrei incontrarti tra cent’anni di Ron e Tosca. Non se ne fanno un problema, anzi: vincono il Premio della Critica (intitolato da quell’anno a Mia Martini), tornano sul palco per il bis che spetta a chi è arrivato sul podio ed eseguono la versione più scatenata e scanzonata, con Elio che canta reggendo una telecamerina con cui registra tutta la scena e cambia le parole del testo all’insaputa dei compagni: per esempio «una puzza in compagnia / una puzza da solo», il che provoca l’ilarità di Faso, ignaro del fuori programma. La Terra dei Cachi è unanimemente considerata la vincitrice morale di Sanremo 1996 e spalancherà agli Elii una carriera di enorme successo, che tra le mille altre cose passerà da altre tre partecipazioni al Festival: nel 2013 con la virtuosistica La canzone mononota (di nuovo seconda, dietro Marco Mengoni), e ancora nel 2016 con Vincere l’odio e nel 2018 con Arrivedorci, una canzone di commiato al pubblico dopo quasi quarant’anni di carriera.