Quando anche ai potenti serve un aiutino

di Laura Laurenzi («la Repubblica», 6 ottobre 2018)

Sì, è vero, la regina Elisabetta possiede una mano finta, meccanica, per poter salutare la folla senza stancarsi troppo. Il device, peraltro piuttosto artigianale – un guanto imbottito infilato su una leva di legno – le è stato donato anni fa durante un viaggio nel Commonwealth da un gruppo di ingegnosi studenti australiani.sarkozy_bushLa regina ce l’ha ancora questa protesi, questa mano bionica che ruota e saluta con grazia, ma non l’ha mai usata, non ne ha mai avuto bisogno. Significa che sua maestà sta bene e la sua scelta ci rassicura. In fondo se sapessimo che la mano con cui, a novantadue anni, saluta i sudditi da dietro il vetro della sua Rolls Royce è una mano posticcia, è un robot, saremmo autorizzati a preoccuparci: significherebbe che la regina è stanca e ha fatto il suo tempo. Quella mano è l’ultima incarnazione, in legno e gommapiuma, di trucchi, finzioni, artifizi, stratagemmi, ipocrisie materiali o ancora più spesso impalpabili con cui i potenti, i leader, i presidenti salvano le forme e restano aderenti all’immagine che devono offrire di sé e del proprio ruolo. Sono ausili meccanici, gadget, paraventi che usano per nascondere i propri difetti fisici e non fisici, le loro debolezze, i peccati che non gradiscono far sapere, gli anni. È nota la teoria dei due corpi del re elaborata da Ernst H. Kantorowicz: un corpo fisico che deperisce, invecchia e si ammala, e un corpo politico ritenuto immortale. Da sempre chi governa il mondo vuole che a passare alla storia sia il corpo immortale, quello senza rughe, stanchezza, pecche, imperfezioni: Gianni Agnelli non nascondeva il piede lesionato, tuttavia, temendo commenti maligni su un suo eventuale coup de vieux, detestava farsi vedere in pubblico con gli occhiali da presbite; così quando teneva dei discorsi ufficiali li leggeva su fogli stampati corpo ventiquattro, a caratteri cubitali, creando l’illusione di vedere come vedeva a vent’anni. Tutti ricordano gli zatteroni di Kim Jong-il, penultimo dittatore della Corea del Nord, che suppliva al suo deficit di statura con le apposite zeppe. È lo stesso meccanismo, meno evoluto e meno invisibile, adottato in Occidente da presidenti come Sarkozy: scarpe fatte su misura dotate di rialzi interni ben nascosti, a regalare fino a otto centimetri in più. In fondo anche Re Sole calpestava la reggia di Versailles su certi scarpini dagli alti tacchi dipinti di rosso. La statura, si sa, nella corsa al potere è un fattore che incide: i bassi sono più longevi, ma gli alti vincono le elezioni, perlomeno negli Stati Uniti, dove un’indagine della Texas Tech University ha stabilito che gli elettori sono più propensi a votare il candidato più alto in quanto lo percepiscono più adatto al comando. Ma non tutto il mondo è paese: se Lincoln misurava un metro e novanta, Krusciov raggiungeva a stento il metro e sessanta, come re Hussein di Giordania, mentre Arafat si fermava a un metro e cinquantasette e Deng Xiaoping a un metro e cinquantadue. Il ricorso tattico a predellini e a gradini mobili era ed è ancora comune nelle occasioni ufficiali, nelle parate militari, nelle strette di mano al vertice consacrate da foto in cui non si voglia sfigurare. Anche il piedistallo è un artifizio meccanico per apparire meglio, un device. Artifizio e trucco nel vero senso della parola, “aiutino” per eccellenza, è l’arsenale che oggi possono offrire la cosmetica e la medicina estetica; i più fedeli alleati del forever young: nessun politico surclassa Silvio Berlusconi in ritocchi, lifting, tiraggi, “creme colorate”, tinture, mentre la natura dei capelli blorange (crasi di blond e orange) di Trump resta ancora avvolta nel mistero. Avrà certamente i suoi seguaci anche la nuova scuola di pensiero secondo cui il capo che ammette difetti e punti deboli è invece un leader forte. Sarà, ma qui nessuno confessa stanchezza, accenna astenia e voglia di andare in pensione. Tutti in perfetto stato, per lo meno apparente, nessuno che ammetta di potere avere, anche solo per un giorno, neppure un polso slogato.

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