di Giovanni Battistuzzi (ilfoglio.it, 31 luglio 2024)
Se Sequals, un paesino di duemila abitanti in Friuli (provincia di Pordenone) è noto negli Stati Uniti è perché lì è nato e da lì è partito Primo Carnera prima di conquistare a forza di pugni l’America e la cintura dei pesi massimi. Negli anni Trenta, Carnera era semplicemente The Ambling Alp, oppure The Giant o ancora The Human Mountain. Per alcuni una sorta di divinità sportiva.
Quasi un secolo dopo, Carnera, almeno a Sequals, è il motivo di uno scontro politico tra chi vorrebbe dedicargli lo stadio del paese – a dire il vero un campo da gioco – in quanto leggenda locale e chi invece dice che questa è una pessima idea perché era sì un campione della boxe, ma era anche un fascista. I residenti di Lestans, la frazione dove sorge il campo da gioco, si sono rivolti al sindaco Enrico Odorico chiedendogli di sospendere l’iter burocratico per l’intitolazione per via della militanza fascista dell’eroe.
Che a Sequals Primo Carnera sia memoria divisiva non è una novità. Jack Sher arrivò a Sequals nell’ottobre del 1961. Il grande giornalista sportivo americano era da una decina d’anni che lavorava per il cinema e in quel periodo stava lavorando con Jesse Hibbs a una sceneggiatura per un altro film sul pugilato (avevano lavorato assieme per il non imperdibile Il mondo nel mio angolo). Doveva essere «una pellicola grandiosa di boxe, mafia, mistero e belle donne» che doveva in parte ricalcare e molto romanzare la storia pugilistica di Primo Carnera.
Sher su Carnera aveva scritto parecchio. Quella volta decise di andare a vedere i luoghi nei quali era cresciuto. Trovò Seuqals «carino ma triste». Soprattutto si stupì di quanto Carnera fosse «poco amato e pochissimo incensato. Molte sono le persone che lo accusano di non aver mai pensato a fare del bene al suo paese e alla sua gente», scrisse a Jesse Hibbs. Il progetto del film si arenò un anno dopo e non se ne fece niente.
Jack Sher usò buona parte del lavoro per scrivere nel 1967 un lungo articolo in morte del pugile nel quale raccontava Primo Carnera come un boxeur di grande forza e poca bellezza pugilistica, desideroso del riscatto sociale attraverso lo sport e il denaro (come era accaduto al veneto Ottavio Bottecchia pochi anni prima), amante della ricchezza e del bel vivere, del tutto disinteressato alle questioni che «entusiasmano gli animi delle italiani come il ciclismo, il calcio e la politica».
Carnera non si pronunciò mai contro il regime fascista. Quando tornò in Italia da campione del mondo dei pesi massimi accettò le lusinghe che il regime riservava ai campioni dello sport. Si affacciò dal balcone di Piazza Venezia in divisa, fece un giro in auto per le strade di Roma. Trovò però «misero» il premio in denaro che, a Roma, Mussolini mise in palio per la difesa del titolo mondiale contro il campione d’Europa in carica, lo spagnolo Paulino Uzcudun.
Decise quindi di ritornare in America, considerando «troppo poco remunerativa l’Italia». Lo disse in un’intervista al New York Times, confidando al giornalista che «poter conoscere il Papa sarebbe un sogno. Sono solo un pugile e il Papa avrà senz’altro cose più importanti da fare». Non proprio l’immagine del fascista modello.