di Mauro Suttora (huffingtonpost.it, 13 novembre 2020)
Non è la prima volta che un bambino, preoccupato per Babbo Natale, si rivolge a un politico. Sessant’anni prima di Tommaso Z., cinque anni, di Cesano Maderno (Monza Brianza), che ha chiesto a Giuseppe Conte di garantire al vecchio Santa Claus «un’autocertificazione speciale per consegnare i doni a tutti i bambini del mondo», Michelle Rochon, otto anni, scrisse una lettera dal suo Michigan a John Kennedy: «Ferma i russi, per favore. Se bombardano il Polo Nord uccideranno Babbo Natale». «Non preoccuparti, ieri ho parlato con lui e sta bene. Farà di nuovo il suo giro questo Natale», le rispose il presidente degli Stati Uniti, più sintetico del nostro premier.Era il 28 ottobre 1961. Due giorni dopo i sovietici sganciarono la bomba Zar, il più potente ordigno all’idrogeno mai sperimentato, sull’arcipelago di Novaja Zemlja, oltre il circolo polare artico. Era sei volte più devastante di quella di Hiroshima, il fungo atomico raggiunse l’altezza di 64 chilometri e il lampo fu visto a mille chilometri di distanza. L’onda d’urto rase al suolo le case di legno di Paesi lontani centinaia di chilometri e danneggiò finestre anche in Finlandia. Le circostanze oggi sono serie (virus), ma non così drammatiche. E Conte non ha rinunciato a farsi un po’ di propaganda pubblicando su Facebook la sua lunga risposta a Tommaso, prodigio già alfabetizzato: «Voglio rassicurarti, Babbo Natale mi ha garantito che già possiede un’autocertificazione internazionale: può viaggiare dappertutto e distribuire regali a tutti i bambini del mondo. Senza nessuna limitazione. Mi ha poi confermato che usa sempre la mascherina e mantiene la giusta distanza per proteggere sé stesso e tutte le persone che incontra. L’idea di fargli trovare sotto l’albero, oltre al latte caldo e ai biscotti, anche del liquido igienizzante mi sembra ottima. Una buona strofinata gli permetterà di disinfettare ben bene le mani e di ripartire in piena sicurezza».
A questo punto il povero Tommaso già dorme, tramortito dalla logorrea del premier. Che però va avanti: «Sono contento di sapere che tu e i tuoi compagni rispettate con scrupolo tutte le regole, in modo da proteggere anche mamma e papà, i nonni, e le persone più care. Per questo motivo ti annuncio che non sarà necessario precisare nella letterina a Babbo Natale che sei stato bravo: gliel’ho detto io. Gli ho raccontato che quest’anno in Italia è stato un anno molto difficile e tu e tutti i bambini siete stati adorabili. Ho saputo anche che vuoi chiedere a Babbo Natale di mandare via il Coronavirus. Non sprecare l’occasione di chiedere un regalo in più. A cacciare via il Coronavirus ci riusciremo noi adulti, tutti insieme. Così tu e i tuoi compagni potrete tornare presto a giocare liberi e felici e ad abbracciarvi tutti. Spensierati come sempre». Sui social naturalmente si è scatenata l’ironia. Anche perché i bambini sembrano essere diventati grafomani in tempi recenti: un certo Manuel da Settimo Torinese avrebbe inviato la sua personale solidarietà a Matteo Salvini per il processo di Catania sulla nave Gregoretti.
Così Luca Bizzarri ha scritto una parodia di lettera: «Caro Luca, sono Adelmo, un bambino di sei mesi, e ho una domanda da farti. Secondo te il nostro presidente del Consiglio pensa davvero che siamo tutti così coglioni? Perché già ci aveva provato quell’altro signore, ti ricordi, quello che diceva che un bambino gli aveva scritto una lettera perché lo vogliono processare. E io ho pensato va be’ dai, è un po’ un pirlone, ci sta. Ora ci prova anche questo signore, ma commette un errore banalissimo: un bambino di cinque anni non scrive così. Per vedere come scrive un bambino di cinque anni deve leggere i post su Instagram del suo ministro degli Esteri. Ciao, salutami Babbo Natale, che magari non esiste, ma non esiste neanche il ciondolo anti Covid, il senso dello Stato, il rispetto della carica istituzionale, un’opposizione decente, il senso del ridicolo». Bizzarri ha pubblicato anche la propria risposta: «Caro Adelmo, come darti torto. Ma se puoi scrivere a qualcun altro che io i bambini finti non li sopporto. Sopporto a malapena quelli veri».
In realtà presidenti democratici e dittatori hanno sempre ricevuto lettere dai ragazzini, più o meno imboccate dai loro genitori. Claretta Petacci scrisse al suo idolo Benito Mussolini già a quattordici anni, nel 1926, dopo l’attentato di Violet Gibson al duce che l’aveva impressionata. Ne sarebbe diventata l’amante solo dieci anni dopo. Innumerevoli furono anche le richieste d’intercessione, come questa inviata il 5 gennaio 1942 da tre ragazze ad Anna Maria, figlia di Mussolini, per farsi autografare tre cartoline col suo ritratto: «Ci troviamo per poco a Roma per poi ritornare nella nostra amata Sicilia. Siamo fiere di essere in prima linea a fronteggiare le offese nemiche, e volentieri sopportiamo qualche sacrificio perché presto arrida la vittoria alla Patria nostra diletta. Ci permettiamo inviarti tre foto del tuo grande Papà perché Egli voglia compiacersi di apporvi la sua firma che noi terremo come carissimo ricordo».
Più tragica la vicenda di Engelsina Markizova, fotografata nel 1936, a sei anni, con uno Stalin bonario e sorridente. Lei era figlia di un dirigente comunista dell’estremo oriente sovietico. La foto ebbe un tale successo che venne pubblicata dai giornali del regime con la scritta “Grazie, compagno Stalin, per la nostra infanzia felice”. Dalla foto venne addirittura tratta una statua, eretta a Mosca e intitolata a “Stalin, l’amico dei bambini”. Engelsina ha potuto raccontare la vera storia della sua vita soltanto a sessant’anni, nel 1990, dopo il crollo del comunismo. Un anno dopo quella foto, suo padre, Ardan Markizov, venne arrestato come presunto agente dei giapponesi e fucilato. Sua madre, che non sapeva dell’esecuzione, fece scrivere alla bambina una patetica lettera a Stalin per ricordargli la foto e chiedere clemenza verso un vero comunista. Il dittatore rispose facendo arrestare anche la madre di Engelsina, che venne esiliata in Kazakistan come nemica del popolo e morì a trentadue anni, probabilmente sgozzata dalla polizia segreta. Engelsina fu affidata a una zia. La sua identità nella famosa foto venne cambiata con quella di un’altra bambina, di etnia tagiki, Mamlakat Nakhangova.
Ma i principali destinatari delle letterine dei bambini sono i loro idoli di musica e cinema. Gigliola Cinquetti ha depositato al Museo Storico di Trento il suo archivio con ben 150mila lettere di ammiratori e ammiratrici. Ecco una delle più divertenti, spedita dalla tredicenne R.S. l’8 dicembre 1966: «lo ti ho scritto questa lettera per dirti si mi vuoi aiutarmi a farmi venire con te dove stai tu, perché io vorrei scrivermi a farmi cantanta, e io sono sicura che tu l’accetterai».