di Massimo Gaggi («Corriere della Sera», 11 marzo 2017)
«Mi dicono che quello appena pronunciato da Trump davanti al Congresso non era il Discorso sullo stato dell’Unione. È vero: stasera, infatti, hanno vinto i Confederati». I commentatori avevano appena cominciato ad analizzare il primo discorso del nuovo presidente davanti alle Camere riunite e già, nel Late Show della Cbs, arrivava l’attacco satirico di Stephen Colbert contro il Trump «sudista».
Che, per quanto ironico, è rimasto il più efficace. Oltre ad essersi rivelato linfa vitale per l’informazione progressista (boom degli abbonamenti del «New York Times» e degli spettatori della Cnn dopo l’elezione di «The Donald»), il trumpismo sta mettendo le ali alla satira televisiva, rapidamente diventata lo strumento più efficace e seguito nella critica della nuova presidenza. Il fenomeno Trump ha letteralmente rivoluzionato la comicità serale in tv. Saturday Night Live è diventato trasmissione di culto ma anche di massa con 10 milioni di spettatori: imperdibile lo stralunato miliardario-presidente impersonato da Alec Baldwin o Melissa McCarthy che, nei panni del malcapitato Sean Spicer, il portavoce costretto a fare una poco credibile faccia feroce nei suoi briefing quotidiani alla stampa davanti alle telecamere, è stata vista su YouTube per 23 milioni di volte in una sola settimana. È una rivoluzione perché nessuno può, ormai, ignorare Il ciclone Trump. E chi sbaglia una mossa, come Jimmy Fallon che nel suo Tonight Show ha scompigliato i capelli di un Trump finto-pacioccone e poi lo ha ricompensato con battute simpatizzanti, viene punito: la sua trasmissione sulla Nbc, leader fin dai tempi del suo predecessore David Letterman, ora viene spesso scavalcata dallo show di Colbert sulla Cbs mentre recupera terreno anche Jimmy Kimmel sulla Abc. E sono sempre di più i giovani che le idee sulla nuova stagione politica se le fanno seguendo il resoconto settimanale di John Oliver che su Hbo condisce con ironia amara la sua cronaca giornalistica dei fatti-chiave della settimana. Rispuntano i conduttori del passato, pieni di rimpianto per aver mollato: Jon Stewart accovacciato sotto la scrivania di Colbert e Letterman che, parlando a una platea universitaria, confessa che vorrebbe tornare per un faccia a faccia di 90 minuti con Trump: «È stato da me tante volte, non l’ho mai preso sul serio e lui si lasciava sfottere. Gli direi: dai Don, sappiamo tutti e due che stai mentendo, dicci la verità». Letterman, critico col suo successore Fallon, troppo accomodante con Trump, sostiene che la satira ha un ruolo civile, ha il dovere di essere dura coi presidenti. Ma la sua è una critica davvero efficace sul piano politico? Baldwin sicuramente graffia ma ammette anche che agli occhi di molti la rappresentazione satirica di un leader che molti considerano razzista e senza cuore contribuisce a umanizzarlo. La gente dell’America «profonda», quella che ha votato in massa per Trump, probabilmente non vede queste trasmissioni o le interpreta a suo modo. Non tutti, infatti, capiscono la satira, come dimostra la raffica di servizi giornalistici diffusi in Cina su un Trump che, ossessionato da Obama, convinto di sentire ancora la sua presenza alla Casa Bianca, fa addirittura avvolgere i telefoni nella carta stagnola. Salvo che la fonte di questa storia citata dalla stampa cinese, un articolo del «New Yorker», è, in realtà, un pezzo satirico del commediografo Andy Borowitz.