di Pietro Mecarozzi (linkiesta.it, 17 novembre 2020)
L’estrema destra statunitense ha trovato un nuovo rifugio social: si chiama Parler, e si presenta come il regno della libertà d’espressione. La piattaforma si autodefinisce “La piazzetta del mondo”, promette la completa libertà di parola senza il rischio di essere bloccati e, allo stesso tempo, non consente l’accesso a troll o a contenuti sensibili. A novembre del 2020 ha registrato circa 4 milioni di utenti attivi e oltre 10 milioni di utenti totali, contro quota 1,5 milioni di utenti raggiunti sul finire di giugno. Un boom di contatti che, negli ultimi giorni, ha trovato maggior slancio dopo la proclamazione della vittoria di Joe Biden nelle elezioni presidenziali.Fondato nel 2018 da John Matze e Jared Thomson, allora studenti di Informatica all’Università di Denver, Parler ha una grafica molto simile a Twitter ma di colore magenta, ha funzioni identiche agli altri social (followers, post, messaggi e news) e gli stessi passaggi di iscrizione di Telegram (email, nickname e cellulare, nessuna autenticazione dell’ID con documento). È diventato la piattaforma soprattutto dei sostenitori di Donald Trump, critici nei confronti delle regole che Facebook e Twitter stanno mettendo in pratica per scoraggiare la diffusione delle notizie false. Tra questi compaiono anche molti nomi noti della politica americana, come il conduttore di Fox News Sean Hannity, la star televisiva Phil Alexander Robertson, l’attivista di estrema destra Laura Loomer, l’ex candidato alle primarie repubblicane Ted Cruz e il membro del Congresso Devin Nunes.
Anche su Parler, nonostante non vengano rispettate, ci sono delle regole: è vietato fare spam, non si possono sostenere organizzazioni terroristiche, non si può diffamare, niente pornografia oscenità o indecenze, e nessun incoraggiamento all’utilizzo di marijuana. Mentre tutte le opinioni di estrema destra sono più che tollerate. Secondo un rapporto dell’Anti-Defamation League, i membri dei Proud Boys, i sostenitori della teoria del complotto QAnon, gli estremisti antigovernativi e i suprematisti bianchi promuovono apertamente le loro opinioni su Parler. Secondo John Matze, «la cosa migliore è che tutti possano esporsi con una pessima idea e poi venire zittiti attraverso il dialogo pubblico». Che significa quindi via libera a post antisemiti, antifemministi, o a contenuti anti-musulmani, complottistici e pornografici (anche se all’interno di link). Argomenti di cui lo stesso Matze, in un’intervista a The Forward, conferma la presenza e si dichiara non sorpreso di trovarli nella sua piattaforma.
Parler segue la teoria secondo cui la rimozione può solo radicalizzare ulteriormente le persone, mentre i suoi fondatori hanno affermato che il servizio s’impegna con una moderazione minima e che non verificherà i post pubblicati. «Per combattere le opinioni di queste persone devi farle uscire allo scoperto sui social. Non rinchiuderle nei siti più occulti di Internet dove non possono essere smentite», ha commentato durante un’intervista Matze. La piattaforma, oltre alle persone bandite dai principali social network, sin dai primi passi ha attirato l’attenzione di molte personalità repubblicane, tra cui l’ex direttore della campagna di Trump Brad Parscale, il senatore dello Utah Mike Lee e l’avvocato di Trump Rudy Giuliani.
Dopo una partenza promettente, però, il social non ha trovato seguito e sembrava destinato a scomparire. Tutto è cambiato con le elezioni presidenziali e le proteste per l’uccisione di George Floyd. Parler pubblicò una “Dichiarazione di indipendenza da Internet” e lanciò l’hashtag #Twexit (con riferimento alla Brexit ), descrivendo Twitter come un «tiranno della tecnologia» che censurava i conservatori pro Trump e anti Black Lives Matter. Una presa di posizione che ha incoraggiato gli utenti di Twitter a migrare e ha portato nuove risorse alle casse dei fondatori. Prima con il commentatore conservatore Dan Bongino, che ha annunciato di aver acquistato una quota di proprietà in Parler nel tentativo di «combattere contro i tiranni della tecnologia su Twitter e Facebook», e ultimamente con Rebekah Mercer, un’imprenditrice americana nota per il suo sostegno alle organizzazioni conservatrici.
A causa delle regole permissive, in questi ultimi mesi Parler è dunque diventato un Far West virtuale dove ognuno può dire la sua su elezioni americane, Covid-19 e temi di attualità. Compresi gli utenti italiani. Nonostante la piattaforma sia appannaggio soprattutto della popolazione americana e brasiliana – anche grazie all’iscrizione, durante l’estate, del presidente Jair Bolsonaro –, gli account italiani sono in crescita e si stanno preparando a una migrazione dai social tradizionali. Tra i nomi di spicco ci sono Daniele Capezzone, contributor per La verità, Nicola Porro, conduttore di Quarta Repubblica, l’economista leghista Alberto Bagnai, il giornalista Federico Punzi, il deputato leghista Claudio Borghi e l’opinionista Maria Giovanna Maglie. Grandi assenti, per il momento, i partiti italiani. Un motivo può essere anche la forza del social stesso. Secondo alcuni esperti statunitensi, il nuovo social network di estrema destra rischia di fare la stessa fine di Gab o Patreon, ovvero diventare irrilevante e sparire dalla circolazione di pari passo con il tema delle presidenziali americane.