(agi.it, 22 dicembre 2023)
In Israele è tornato a farsi sentire un fenomeno chiamato “Pallywood”, l’unione di due parole molto note: Palestina e Hollywood. La provocazione linguistica, usata soprattutto dai sostenitori di Tel Aviv, riguarda lo stravolgimento e la distorsione di tutti quei video e quelle foto che descrivono le atrocità compiute all’interno della Striscia di Gaza. Un’operazione continua che rischia di oscurare la portata degli accadimenti, reali e tragici, che dal 7 ottobre si stanno verificando a causa delle bombe israeliane.
L’obiettivo di queste presunte fake news, secondo quanto riportato dalla Bbc, è infatti influenzare l’opinione pubblica, ingannare i media globali e minimizzare gli effetti del conflitto israelo-palestinese. Durante i precedenti episodi (2014, 2018 e 2021), il termine Pallywood aveva sempre raggiunto un picco di 9.500 o 13mila menzioni in un singolo mese su X (l’allora Twitter). Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, il numero di menzioni ha raggiunto un picco di 220mila solo nel mese di novembre.
Un’analisi di Bbc Verify, specializzata nell’analisi delle fake news, spiega come solo su X il termine Pallywood abbia registrato il più alto picco nel numero di menzioni degli ultimi dieci anni. I giornalisti hanno scoperto che tra coloro che hanno condiviso questo negli ultimi mesi, anche su Facebook e Instagram, ci sono funzionari israeliani, celebrità e blogger molto seguiti sia in Israele sia negli Stati Uniti.
Ci sono tre storie che raccontano le conseguenze e gli effetti di questo processo ingannatore che coinvolge entrambe le fazioni. La prima, avvenuta il 1° dicembre, vede protagonisti la madre e il nonno di un neonato palestinese di cinque mesi, Muhammad Hani al-Zahar, mentre ne mostrano il corpicino senza vita, davanti a un ospedale di Gaza, dopo la ripresa delle ostilità. Queste affermazioni sono state amplificate in un articolo del Jerusalem Post, influente quotidiano israeliano, che ha mostrato un’immagine di Muhammad in rigor mortis e ha affermato che quella poteva essere effettivamente una bambola. Dopo un’ondata di proteste, il giornale ha rimosso l’articolo dal suo sito Web, affermando su X che il servizio «si basava su fonti errate».
A novembre, invece, un video che mostrava trucco e sangue finto applicati sul volto di un attore bambino è stato pubblicato su X da Ofir Gendelman, portavoce del primo ministro israeliano per il mondo arabo. «Guardate voi stessi come fingono le ferite e come evacuano i civili “feriti”, tutto davanti alle telecamere. Pallywood è stata smascherata di nuovo» ha scritto in un post che è stato visto milioni di volte prima di essere cancellato. Il filmato, infatti, apparteneva al “dietro le quinte” di un film libanese realizzato in omaggio agli abitanti di Gaza e pubblicato on line a ottobre. Il regista Mahmoud Ramzi, che si è affidato a Instagram per sfatare la fake news, ha detto alla Bbc che la disinformazione ha avuto un effetto boomerang permettendo al suo lavoro di raggiungere un pubblico molto più vasto.
La terza storia dimostra come il fenomeno riguardi anche il mondo palestinese. Il video di un ragazzo israeliano, Rotem Mathias, 16 anni, e delle sue due sorelle, Shakked e Shir, è diventato virale sui social. Rotem racconta di aver assistito all’uccisione dei suoi genitori da parte di uomini armati di Hamas il 7 ottobre, mentre si rifugiavano nella loro casa in un kibbutz vicino al confine con Gaza. Un video, costruito artificialmente, presentava spezzoni montati di interviste rilasciate alle emittenti statunitensi Abc e Cnn alcuni giorni dopo l’attacco. Il video affermava che in realtà si trattava di “attori” che mentivano sulla morte dei genitori e che faticavano a trattenere le risate davanti alle telecamere.
L’esistenza dei crisis actors, persone che fingerebbero, anche a pagamento, di inscenare false testimonianze durante una tragedia o un disastro, è molto popolare tra i promotori delle teorie del complotto. In passato, è stata utilizzata per attaccare tante persone vittime di atroci sofferenze: dai genitori dei bambini morti nella sparatoria nella scuola elementare di Sandy Hook negli Stati Uniti ai civili testimoni delle uccisioni a Bucha, in Ucraina, o alle vittime in Siria.
La portata della retorica disumanizzante diffusa durante la guerra israelo-palestinese ha sorpreso anche coloro che quotidianamente hanno a che fare con tali contenuti. Eliot Higgins, il fondatore del sito investigativo Bellingcat, che ha coperto le guerre in Siria e in Ucraina negli ultimi anni, afferma che il volume di disinformazione nell’attuale conflitto in Medio Oriente è «unico». «Ho visto la stessa intensità di tossicità, risposte ignobili e disinformazione, il modo in cui trattano donne e bambini e quel genere di cose, con la Siria, con l’Ucraina e in tanti argomenti diversi – solo che in questo caso ci sono più persone che lo fanno, più persone coinvolte nel processo», ha dichiarato all’emittente britannica.
Gli esperti impegnati nei negoziati tra Hamas e Israele, infine, temono che una disinformazione virale di questo tipo, che svilisce e nega le sofferenze di intere popolazioni, possa avere effetti disumanizzanti sempre più gravi. Ma, soprattutto, avere un impatto sulle prospettive volte a ricucire le relazioni tra due comunità profondamente ferite.