Come Barron Trump ha aiutato suo padre a ottenere i voti dei giovani maschi

Ph. Rebecca Blackwell / Ap

(ilpost.it, 9 novembre 2024)

Martedì sera, quando negli Stati Uniti ha cominciato a essere chiaro che Donald Trump sarebbe stato rieletto alla presidenza del Paese, il presidente dell’organizzazione di arti marziali miste Ultimate Fighting Championship, Dana White, ha tenuto un piccolo discorso sul palco del centro convegni di West Palm Beach, in Florida, dove il comitato elettorale dei Repubblicani stava festeggiando i risultati. «C’è qualche persona che vorrei ringraziare velocemente», ha detto White.

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L’illusione intellettuale dei social network

di Guia Soncini (linkiesta.it, 8 novembre 2024)

Certo, fossi Shakespeare direi che non vengo a elogiare Cecilia Sala, vengo a seppellirla; poiché non solo non sono Shakespeare, ma il pubblico semicolto di questo secolo è pure assai meno attrezzato a decodificare le antifrasi di quanto lo fosse il pubblico teatrale senza scuole dell’obbligo del XVII secolo, proverò a cominciare così: chi se ne frega di Cecilia Sala. Sì, lo so che quelli che si sono indignati per il tweet (o come si chiamano ora) di Cecilia Sala sulla ragazza iraniana sono un sottoinsieme quasi perfettamente sovrapponibile a quello dei lettori di questo giornale, lo so che anche oggi mi faccio ben volere, lo so che si formeranno due file ordinate.

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In Cina va in onda una serie tv in 39 episodi sulla vita del papà di Xi Jinping

Cctv

di Carlo Renda (huffingtonpost.it, 8 novembre 2024)

Un’epopea della vita di Xi Zhongxun, figlio di contadini della Cina Nord-Occidentale diventato un rivoluzionario comunista e un alto dirigente del Partito, nonché padre di Xi Jinping, presidente plenipotenziario della Repubblica popolare cinese dal 2013 fino a quando vorrà. È la serie tv Time in the Northwest, finanziata dal Dipartimento centrale di propaganda del Partito comunista cinese (Pcc), in onda sulla Cctv, la televisione di Stato cinese, in 39 episodi, per raccontare 25 anni di esistenza di un cinese esemplare e, nelle intenzioni, «esaltare i sentimenti rivoluzionari della vecchia generazione».

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Un’esilarante follia chiamata “Saturday Night Live”

di Brenda Vaiani (linkiesta.it, 11 novembre 2024)

Gli anni Settanta americani hanno significato moltissimo, trasformando per sempre non solo la società e la cultura degli Stati Uniti ma, con un effetto a cascata, anche quelle dell’intero Occidente, Italia inclusa. Con questo non mi riferisco soltanto alla supremazia economica e politica, ma anche a ciò che il politologo Joseph Nye definì “soft power”, cioè la capacità di sprigionare sé stessa attraverso risorse intangibili: ideali e valori.

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La satira in America e altre quisquilie

Ph. Jeenah Moon / Getty Images

di Giada Biaggi (ilpost.it, 8 novembre 2024)

Un minuto e mezzo. Novanta secondi. La durata massima di un reel di Instagram, ma anche all’incirca quella dell’apparizione cameo di Kamala Harris lo scorso 2 novembre al Saturday Night Live, lo show comico di punta di Nbc, l’emittente “blue-Klein-democrats” (vuol dire “blu partito democratico”, volevo giocare con l’arte riferendomi a Yves Klein, un artista celeberrimo per il suo blu, ma mi sa che sul Post devo spiegarlo bene), al fianco della comedian Maya Rudolph.

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L’antidoto contro Miguel Bosé

Miguel Bosé via Instagram

di Enrico Bucci (ilfoglio.it, 4 novembre 2024)

Miguel Bosé, un’icona della musica italo-spagnola con una carriera che abbraccia decenni, ha recentemente attirato l’attenzione non per le sue canzoni, ma per le sue dichiarazioni straordinarie e controverse su argomenti di importanza critica come la pandemia di Covid-19 e il cambiamento climatico. In un’intervista che ha fatto discutere, ha affermato senza remore: “Sono un negazionista e lo dico a testa alta”, insinuando che le misure sanitarie e la campagna vaccinale fossero parte di un complotto globale orchestrato per controllare la popolazione.

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Lezioni trumpiane: la musica non può più cambiare il mondo

Ph. Yui Mok / Ap

di Gabriele Isman (huffingtonpost.it, 8 novembre 2024)

La cavalleria non è bastata, o forse non è mai arrivata. Nonostante gli endorsement di Bruce Springsteen, Billie Eilish, Taylor Swift, Beyoncé e Lady Gaga, Kamala Harris ha perso e hanno vinto gli altri, Donald Trump e Elon Musk che sembra vicepresidente più di J.D. Vance. Una volta la musica poteva cambiare il mondo – Imagine di John Lennon è ancora una speranza di pace e Blowing in the wind è stato l’inno di almeno un paio di generazioni, e che stavolta Bob Dylan non si sia fatto sentire forse era già un segnale – ma adesso non bisogna più scegliere.

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“We are the world”, il miracolo di Quincy Jones

di Andrea Silenzi (repubblica.it, 4 novembre 2024)

Era l’epoca della coscienza: i musicisti avevano deciso di prendersi cura del mondo, anzi dei disperati del mondo. Sulla scia di Band Aid – Do they know it’s Christmas, l’invenzione di Bob Geldof con le grandi star inglesi, Lionel Richie e Michael Jackson avevano scritto una canzone con la stessa finalità: raccogliere fondi per combattere la crisi alimentare in Africa.

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Commander-in-Tweet: il populismo digitale di Trump

Ph. Sinna Nasseri / The New Yorker

di David Allegranti* (linkiesta.it, 6 novembre 2024)

L’arrivo di Donald Trump su Twitter è datato marzo 2009, quando Barack Obama è appena diventato presidente degli Stati Uniti. Rapidamente, diventa lo strumento preferito del miliardario americano. «La campagna presidenziale del 2016 potrebbe essere ricordata come quella in cui il populismo ha incontrato i social media digitali», scrivono Francisco Seoane Pérez et al. (2019, p. 13).

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