di Giulia Belardelli (huffingtonpost.it, 9 gennaio 2018)
Tutti pazzi per Oprah, dunque? Non proprio, non tutti. Se è vero che il suo discorso “presidenziale” ai Golden Globes ha galvanizzato l’opinione pubblica e parte dei democratici, a mente fredda arrivano le prime frenate da alcuni dei giornali più influenti d’America.La prospettiva di una sfida nel 2020 tra Trump e Oprah, o di un confronto tutto al femminile tra Ivanka e la diva della tv americana, preoccupa chi continua a credere che per fare il presidente servano esperienza, serietà e un solido background di servizio pubblico. Il più netto di tutti è Thomas Chatterton Williams, che in un editoriale sul New York Times si rivolge direttamente a lei: «Oprah, non farlo. Non sono immune al fascino di Oprah, ma quella di una Presidente Winfrey è un’idea terribile. Evidenzia anche la misura in cui il Trumpismo – la dedizione agli ascolti, il ripudio dell’esperienza e delle competenze – ha infettato la nostra vita civica. Il politico post-Trump ideale sarà, per lo meno, una figura profondamente seria con un forte background di servizio pubblico alle spalle. Sarebbe una ferita devastante, autoinflitta, per i democratici [la scelta di] accontentarsi della pur benevola mimica del circo allucinante di Trump». Per il NyTimes, il clamore mediatico suscitato dall’ipotesi di una #Oprah2020 «è un segnale preoccupante sullo stato del Partito Democratico». «In un certo senso, la conversazione a sinistra (e nella destra anti-Trump) attorno alla Winfrey è anche più preoccupante dell’immaturità emotiva e dell’anti-intellettualismo che pulsa dagli Stati rossi che hanno eletto il signor Trump. Quegli elettori si sono da tempo definiti in opposizione alla serietà intellettuale che i Democratici pretendono di personificare. Se i liberali non sono più orgogliosi di essere gli adulti nella stanza, il baluardo contro i capricci della folla, la nostra discesa nazionale nel caos sarà completa […]. La politica americana è diventata solo un altro sport di squadra, e se adattarsi a un battitore pesante come la signora Winfrey è quello che serve per ottenere la vittoria al campionato, così sia. L’idea che la presidenza debba diventare solo un altro premio per le celebrità – anche per quelle con cui crediamo di essere d’accordo – è estremamente pericolosa. Se il primo anno dell’amministrazione Trump ha chiarito qualcosa, è che l’esperienza, la conoscenza, l’educazione e la saggezza politica hanno un’importanza enorme. Governare è completamente diverso dal fare campagna elettorale. E forse, la cosa più importante, le celebrità non sono eccellenti capi di Stato. La presidenza non è un reality show o un talk show […]. Speriamo, per il bene della nostra nazione, che Oprah non voglia [scendere in campo]». Per contro, a quasi 24 ore di distanza dal discorso della Winfrey, è arrivato via Twitter il plauso della primogenita del presidente, Ivanka Trump: «Ho appena sentito il discorso autorevole di Oprah. Uniamoci, donne e uomini, per dire #TimesUp», riferendosi all’iniziativa lanciata da attrici e artiste americane per combattere la cultura della violenza maschile contro le donne sul posto di lavoro.
Just saw @Oprah’s empowering & inspiring speech at last night’s #GoldenGlobes. Let’s all come together, women & men, & say #TIMESUP! #United
— Ivanka Trump (@IvankaTrump)
A bocciare come “deprimente” la prospettiva di una Oprah Winfrey for president è anche il Los Angeles Times, che spiega la sua posizione in un commento dell’Editorial Board: «Non intendiamo mancare di rispetto a Winfrey, che ci colpisce per essere molto più informata e intellettualmente curiosa, oltre che presumibilmente meno spericolata e disonesta del presidente in carica. Ma troviamo bizzarro che gli americani che sono sconvolti dalla condotta ottusa e ignorante di Trump al più alto ufficio della nazione gravitino attorno a un’altra star televisiva non testata in politica. Gli Stati Uniti non hanno bisogno di un’altra stella televisiva che gestisca il Paese, neanche se si tratta di una star talentuosa e compiuta come Oprah Winfrey. Ciò di cui hanno bisogno è qualcuno che sia preparato per il lavoro, che abbia preso decisioni difficili, che abbia familiarità con i problemi e una storia di servizio pubblico. Non tutti i senatori o i governatori sono dei buoni presidenti, certo, ma sono una scommessa migliore, in generale, rispetto alla tipica star del cinema o uomo d’affari. Ecco il tipo di curriculum che si avvicina di più a ciò che tendiamo a cercare in un candidato (e perdonateci se sembra familiare): ex senatore degli Stati Uniti, ex segretario di Stato. Sarebbe meglio, per il partito e per il Paese, se gli elettori pensassero di poter riporre la loro fiducia in potenziali presidenti che condividessero le loro opinioni e le loro passioni, ma avessero anche esperienza nel governo. Ci aggrappiamo ancora alla speranza che le elezioni per il presidente non siano state definitivamente trasformate in un episodio di Celebrity Apprentice». Sul Washington Post è Paul Waldman a mettere in guardia i Dem dal rischio di “cedere” alla tentazione di rispondere a celebrity con celebrity: «I democratici sono rimasti traumatizzati dagli eventi recenti, e una delle risposte è alzare le mani e dire: “Bene. Se ciò che importa agli elettori è che ci sia qualcuno in grado di mettere su un bello spettacolo, allora ci faremo avanti anche noi con una nostra celebrità”. È vero che i democratici hanno sottovalutato l’importanza del carisma nella politica presidenziale, ma la risposta a quei fallimenti elettorali non è di smettere di preoccuparsi della sostanza. È trovare candidati che siano sia carismatici sia seri, in grado sia di vincere sia di fare il lavoro una volta entrati in carica. Indovinate un po’: i democratici lo hanno già fatto in passato! Bill Clinton e Barack Obama erano candidati straordinariamente avvincenti che potevano parlare per ore di politica. Sapevano come lavorare sul sistema politico e sapevano anche come vendere. E non è vero che ai democratici mancano le scelte per il 2020. Probabilmente ci saranno almeno una dozzina di persone che corrono, e se sei un democratico probabilmente ti piaceranno almeno alcune di esse». Essere presidente non è come condurre un talk show o gestire un marchio multimediale, osservano i critici: «E il successo di Oprah nel suo campo non è più indicativo del suo poter essere una buona presidente di quanto non lo fosse il successo di Trump nel settore immobiliare. Non si può criticare Trump per non avere alcuna esperienza rilevante o comprensione evidente delle politiche pubbliche, quindi dire che la soluzione per i democratici è solo alzare le mani e trovare la propria celebrità da promuovere. È un Paese libero e Oprah può correre se vuole. Se lo fa, avrà la possibilità di esprimere le sue migliori argomentazioni sul perché dovrebbe essere presidente. Ma se lei correrà, l’idea di una sfida Trump-Oprah manderà in visibilio il mondo delle news. C’è una forte possibilità che, proprio come accadde per Trump nelle primarie 2016, lei finisca col risucchiare ogni grammo di attenzione mediatica, limitando la capacità dei candidati più esperti e seri di presentare la propria causa agli elettori. Anche la rotta di Obama verso la presidenza iniziò con un grande discorso. Ma, negli anni seguenti, ha dimostrato di essere degno delle grandi aspettative che in lui erano state riposte. È possibile che Oprah possa dimostrare di meritare tutta l’attenzione suscitata dall’idea di una sua candidatura. Ma certamente non l’ha ancora fatto, e dovremmo essere tutti estremamente scettici a meno che, e fino a quando lei non ci mostri perché, oltre a essere solo ricca e famosa, sarebbe diventata davvero una buona presidente».