di Teresa Marchesi (huffingtonpost.it, 8 settembre 2020)
L’eco di Black Lives Matter arriva a Venezia con una “lettera d’amore”. Così Regina King, Oscar come miglior attrice non protagonista per Se la strada potesse parlare, definisce il suo One night in Miami, che segna il suo esordio da regista. Prodotto da Amazon a basso costo, il film è al Lido fuori concorso, ma andrà a Toronto e si propone dichiaratamente come strumento per le battaglie di casa. Tecnicamente trattasi di Kammerspiel: una stanza, dialoghi fitti e azione all’osso.
È tratto dall’opera teatrale omonima di Kemp Powers – anche co-sceneggiatore –, ma fa scalpore perché a dialogare sono quattro icone della cultura black: Cassius Clay, Malcolm X, Sam Cooke e Jim Brown, superstar del football Usa. Nella fatidica notte del 25 febbraio 1964, quando il genio “danzante” della boxe ha appena strappato a Sonny Liston la cintura di campione dei pesi massimi, la loro “reunion” è una sorta di crocevia della Storia.
Collegata via Zoom dagli Usa, Regina King ribadisce quello che già dal film è chiarissimo: «Le conversazioni tra loro di cinquant’anni fa sono le stesse che facciamo oggi. Loro danno voce a tutte le donne e gli uomini di colore». Un po’ come in certi film di Spike Lee (uno per tutti, Jungle fever), One night in Miami è mirato a focalizzare domande e contraddizioni interne al movimento per i diritti civili. E un “inside movie”. Lo spettatore bianco digiuno della materia, o poco coinvolto, potrebbe smarrirsi. A Covid debellato, quando l’America tornerà frequentabile, una tappa al Museum of Civil Rights di Memphis potrebbe essere di ausilio.
Malcolm X, amico e mentore di “Cash” Clay, ha invitato i tre amici-fratelli nel suo modesto albergo di Miami per festeggiare l’epica vittoria del pugile in privato e in sobrietà. E ognuno di loro è alla vigilia di una svolta cruciale. Cassius Clay sta per aderire alla Nazione dell’Islam e per cambiare il suo “nome da schiavo” in Muhammad Ali. Sam Cooke – “Mr. Soul” – sta per introdurre nella sua musica l’impegno di A change is gonna come. Jim Brown lascerà gli stadi per passare al cinema. E Malcolm X, soprattutto, quello che “andava in giro con un bersaglio sulla schiena”, sarà assassinato nel 1965, due giorni dopo quelle parole profetiche: «È il tempo dei martiri, e io sarò uno di loro».
Non è una festa. È un confronto senza peli sulla lingua, anche aspro. Il loro diverso carisma è un’arma da usare, sostiene Malcolm X, non per “arruffianarsi i bianchi” ma per far vincere la loro gente. A Sam Cooke fa ascoltare Blowin’ in the wind: “L’ha scritta un bianco del Minnesota, ma perché parla di noi più di qualsiasi cosa tu abbia mai scritto?”. I suoi appelli suonano di assoluta attualità: “Nessuno può permettersi di stare con le mani in mano”. È il leader, ma è vulnerabile. È in rotta con i vertici della Nazione dell’Islam, ha l’Fbi addosso, ha paura per la famiglia. A breve, gli incendieranno la casa. Valore aggiunto, l’impressionante somiglianza di tutti gli interpreti agli originali: Eli Goree sembra il sosia di Muhammad Ali, ma Kingsley Ben-Adir (Malcolm X) ha chiaroscuri che oscurano l’epico Denzel Washington di Spike Lee.