di Luca Attanasio (linkiesta.it, 17 novembre 2023)
Nollywood, l’industria cinematografica nigeriana, sta rapidamente diventando un fenomeno globale e guadagnando posizioni su posizioni nel panorama della film industry mondiale. Dalle sue modeste origini nel 1992 al suo attuale status di industria di maggior successo e influenza al mondo, Nollywood sta cambiando il modo di vedere il cinema. E non solo in Africa.
L’industria cinematografica nigeriana, infatti, è seconda solo a Bollywood come numero di film prodotti, sebbene, come scrive Kechi Nomu all’interno del libro della collana The Passenger (Iperborea) dedicato alla Nigeria «abbia origini e caratteristiche molto diverse. Nasce in videocassetta prima che al cinema, ama il kitsch, non bada alle convenzioni e ha un unico scopo: intrattenere». Nollywood produce più di duemila film l’anno e ha un fatturato annuo stimato di 1,2 miliardi di dollari. La maggior parte dei film di Nollywood sono a basso budget, girati in video e distribuiti in formato direct-to-video.
Storicamente l’industria cinematografica nigeriana affonda le sue radici nella ricca tradizione orale del Paese. Continua a pescare, infatti, nella tradizione artistica e musicale, le danze e le musiche, oltre che il canto. Ma negli ultimi anni ha raggiunto un livello di produzione internazionale e conquistato spazi artistici nuovi ovunque nel mondo. L’esempio più lampante è rappresentato dal film The Black Book del regista nigeriano Editi Effiong, balzato in cima alle classifiche della piattaforma Netflix in tutto il mondo: a ottobre si è posizionato tra i tre film più visti in Paesi come Stati Uniti, Brasile e Corea del Sud, e per quasi una settimana è stato il film più visto in tutto il mondo, facendo registrare un risultato storico per un film nigeriano.
Effiong ha dichiarato che il suo thriller d’azione non solo ha affascinato il pubblico, ma ha anche rimodellato la percezione di Nollywood. Interpretato dal noto attore Richard Mofe-Damijo, il film ruota attorno alla storia di Paul Edima, un uomo che vuole verità e giustizia dopo l’uccisione del suo unico figlio avvenuta per mano di un gruppo di agenti di polizia corrotti. The Black Book trasmette un messaggio forte sulla brutalità della polizia e sulla corruzione del governo, temi alla base delle proteste nigeriane del 2020 passate alla storia sotto l’hashtag #EndSars (Sars è il reparto speciale della polizia accusato di brutalità e violenze). È interessante notare che il film è stato prodotto con un budget di un milione di dollari tutti reperiti in Nigeria: «Questo finanziamento al cento per cento nigeriano» ha dichiarato Effiong «dimostra il potere della fiducia e dell’autosufficienza». «Non dobbiamo aspettare l’elemosina, possiamo farcela da soli» ha poi concluso.
Nollywood è emersa all’inizio degli anni Novanta grazie all’impegno di pionieri come Kenneth Nnebue e Ola Balogun. Nnebue è stato il primo a produrre un lungometraggio nigeriano, Living in Bondage (1992), che ha riscosso un immediato successo di pubblico. La popolarità raggiunta in breve tempo ha aperto la strada ad altri registi che hanno prodotto i loro film utilizzando videocamere e budget ridotti, girandoli in loco senza attrezzature o troupe professionali. Il segreto del boom avuto un trentennio fa, e che persiste all’interno della società nigeriana ed africana in genere, lo si deve anche al fatto che i film prodotti da Nollywood sono spesso molto vicini al nigeriano medio. Affrontano questioni sociali e problemi che i nigeriani vivono quotidianamente e sentono come propri.
Col tempo, però, oltre a rappresentare la società in modo statico, il cinema nigeriano ha cominciato ad assumere un ruolo sociale e a favorire un impulso al cambiamento. Come nel caso di The Black Book, i film di Nollywood cominciano ad avere un impatto sulle norme e sugli atteggiamenti sociali, sfidano i valori e le credenze tradizionali, rilanciano i temi dei diritti. L’indotto ha un grosso impatto sul mondo del lavoro. Le stime parlano di almeno 200mila persone impiegate. I film e le serie che approdano ora anche in Europa (in Italia circolano da tempo Shanty Town o Jagun Jagun – Il Guerriero su Netflix, oltre al già citato The Black Book) sono proiettati in una sessantina di Paesi e portano investimenti stranieri.
Grazie anche alla grandissima ascesa delle industrie cinematografiche sudafricana, keniana (Riverwood) – anch’esse arrivate in Europa e in Italia) –, ghanese (Ghallywood), camerunese (Collywood), nordafricana e di altri Paesi, il cinema africano sta rivoluzionando la visione dell’Africa e degli africani nel mondo. Negli ultimi anni, l’industria cinematografica africana ha guadagnato popolarità e le opere prodotte nel continente si sono imposte nei festival internazionali. Per molto tempo, Nigeria e Sudafrica sono state le industrie cinematografiche dominanti del continente africano, ma adesso, con il boom dei contenuti in corso, trentuno Paesi stanno osservando un aumento delle produzioni grazie a un incremento degli investimenti in contenuti locali.
L’attuale leader è Showmax, di proprietà della società di intrattenimento africana MultiChoice. Lanciato nel 2015, il servizio di streaming è accessibile in quasi tutti i Paesi del continente e ha investito in film e serie originali africane. Recenti analisi hanno dimostrato che i film e le serie africane rappresentano il 40 per cento di ciò che gli utenti guardano sulla loro piattaforma. E ciò a dispetto di instabilità o situazioni di conflitto di non poche aree del continente che rendono inutilizzato un potenziale molto elevato. Si spera, quindi, che la spinta delle industrie cinematografiche e artistiche più potenti traini anche altre nazioni in un processo di conquista di spazi nel mondo che sembra ormai irreversibile.