di Daniele Mastrogiacomo (repubblica.it, 14 dicembre 2023)
Persino Miss Universo 2023, la reginetta che ha fatto conquistare per la prima volta l’ambito premio al Nicaragua, diventa una “terrorista” per Daniel Ortega. Prigioniero del suo ego smisurato, deciso a restare al potere con il pugno di ferro, comminando anni di carcere ed esili forzati a qualsiasi voce critica, l’ex guerrigliero trasformato in dittatore è stato costretto a un voltafaccia che ha fatto infuriare l’intero Paese centroamericano.
Due settimane fa, accolta da fuochi d’artificio, balli e canti, quasi fosse un Mondiale di calcio, arriva a sorpresa la vittoria della bella Sheyniss Palacios, già Miss Nicaragua, nel più sentito concorso di bellezza sul Pianeta. Conquista il titolo di Miss Universo nella finale di San Salvador. Una folla allegra e piena di orgoglio si rovescia per le strade e festeggia un primato che inseguiva da sempre. Ortega e Rosario Murillo, la fedele compagna con cui gestisce il potere, gongolano raggianti. Salutano e benedicono la gente che scorrazza, urla e beve. Anche il Nicaragua ha finalmente la sua Miss. Il riconoscimento serve a lenire tante sofferenze e a distendere il clima costante di tensione. Sheyniss è l’eroina del momento. Anche per il regime.
Ma poi accade l’imprevedibile. Saltano fuori delle foto nelle quali si vede la reginetta mentre partecipa alle manifestazioni di protesta che nel 2018 portarono in piazza decine di migliaia di persone e che furono represse con 300 morti. I due satrapi saltano sulla sedia. Urla e strepiti. L’ex modella, da mesi riparata negli Usa, viene messa al bando. È accusata di cospirazione e tradimento. Ma la condanna non basta. Bisogna colpire anche gli organizzatori della rassegna, quelli che hanno spinto Miss Nicaragua a proseguire nella selezione di Miss Universo, che l’hanno incoraggiata e portata in trionfo. Superando le sue timidezze, convincendola che poteva farcela, mentre lei restava nell’ombra e veniva coperta dalle altre concorrenti.
Così, di primo mattino, Ortega ordina di mobilitare le sue squadracce e le spedisce a casa di Karen Celebertti, la patrón del premio. La donna è già sparita. Ha capito subito come poteva finire ed è volata in Messico portandosi dietro anche una figlia. Sempre più furiosi, tutti gli apparati dello Stato si mettono alla ricerca degli altri colpevoli. Puntano sul marito Martin Argüello Leiva e suo figlio Bernardo. Li trovano, li arrestano e li fanno inghiottire dal buco nero delle prigioni. Anche loro, come Karen, figurano tra gli organizzatori del premio. E quindi anche loro sono accusati di “cospirazione, tradimento, terrorismo, incitamento all’odio, criminalità organizzata, riciclaggio di denaro”.
Una sequela di reati che non lascia scampo. Pagano con il carcere, e la condanna che puntualmente sarà inflitta, un successo che inorgoglisce l’intero Nicaragua ma fa infuriare chi lo governa con il terrore perché assegnato a qualcuno che ha osato protestare contro l’arroganza di un dittatore e le stragi che ha provocato. Le accuse sono state diffuse dalla polizia, ma sulla base di un testo redatto personalmente da Daniel Ortega. Lo stesso che ha sbattuto dentro celle buie e senza finestre ex compagni di lotta, amici, colleghi, uomini e donne che lo avevano a loro volta salvato delle carceri di Somoza e che sono stati poi deportati negli Stati Uniti e privati della cittadinanza.
Il dittatore di Managua è riuscito a tagliare i ponti con tutti: dalle istituzioni internazionali, alla stampa, alle associazioni imprenditoriali, fino alla Chiesa e allo stesso Vaticano. Ha infierito con brutalità su chiunque osasse resistere. Lo sa bene monsignor Rolando Álvarez, il vescovo di Matagalpa da dieci mesi richiuso in un carcere di massima sicurezza. Si oppose all’esilio forzoso negli Usa insieme ad altri 222 prigionieri. «Resto qui, in prigione», disse, «pagherò per gli altri». Ortega ha reagito con rabbia: «È un traditore della patria». Poi gli ha inflitto altri 26 anni di carcere. Ci resterà fino al 2054.