di Eva Elisabetta Zuccari (today.it, 27 ottobre 2020)
E pensare che tutto era cominciato come nella migliore tradizione da femme fatale: un video in cui ammiccava birichina alla telecamera (l’ormai mitologico videoclip musicale di Blurred Lines, in cui canticchiava in déshabillé “I know you want it”), la promozione a nuovo sex symbol d’America, l’implosione del profilo Instagram con gli scatti bollenti di rito. Ma Emily Ratajkowski, nell’era del MeToo e della solenne eclissi della donna oggetto, ad un certo punto ha avuto l’ardire di spostare la provocazione sul piano intellettuale e – persino – sociologico.
Una volta che gli occhi adoranti di uomini e donne di tutto il mondo erano fissi sul suo corpo statuario, la top model si è voluta imporre come “modella-modello”. Come attivista e femminista. Della serie: attira la preda nella tana e poi tramortiscila.
Il figlio che sceglierà il sesso da solo
Già perché, mentre nell’Internet imperversava l’hashtag #escile in ossequio al suo mitologico seno svettante sui social, la supermodella statunitense ha elevato gli istinti più terreni del pubblico sublimandoli in battaglia civile: ha affiancato al fenomeno sexy l’autocertificazione di femminista, al grido di “le donne possono esprimere la propria sessualità e condividere il proprio corpo come preferiscono” (contestato da più parti, va precisato). E da allora, Anno Domini 2016, non ha più smesso. L’ultima provocazione in ordine di tempo oggi, e a proposito della sua prima gravidanza: @Emrata ha annunciato di essere incinta, ovviamente con un video in sottoveste (e poi, ovviamente, con uno scatto di nudo), ma a corredo della notizia è spuntato il supporto alla questione gender. “Non sapremo il sesso fino a quando nostro figlio non avrà 18 anni e poi ce lo farà sapere”, ha dichiarato a Vogue. “Tutti ridono, ma questo scherzo nasconde una verità importante: non abbiamo idea di chi o che cosa stia crescendo nella mia pancia”. Ennesima – e legittima – cavalcata sulle tematiche dei diritti civili di più stretta attualità.
Il femminismo secondo Emily (ma non secondo tutti)
Del resto le idee chiare, Emily, le aveva già da ragazza. Mentre tutti restavano storditi scivolando virtualmente sulle sue curve, infatti, a 23 anni dichiarava: “Io sono un brand, la gente mi chiama Emrata, proprio come il mio nick su Instagram”. E ancora: “Ho sempre lottato per la parità e i diritti, anche da adolescente. Concetti che ho imparato dai miei genitori, ma che grazie alla fama ho potuto trasformare in un impegno civile”. E così dietro il viso d’angelo dell’angelo di Victoria’s Secret sono spuntate le ali dell’attivismo più patinato (e strategico? Chissà. Di certo figlio di vicissitudini personali: appartengono al passato le denunce per alcune foto intime hackerate e di un abuso subito da modella esordiente).
Il vero e proprio “fenomeno” Emily esplode nel 2013. E, con esso, le prime diatribe. Il famoso videoclip di Blurred Lines, brano del cantante Robin Thicke che la volle come protagonista consegnandola al successo improvviso, fu controverso: sessista dalle donne, persino “promotore dello stupro” per certa stampa. Ma a tutti lei rispose che il messaggio era l’opposto, ovvero che una società che reprime la sessualità è un male per entrambi i sessi. Insomma, un polverone che fu in qualche modo un assist alla sua carriera. Così, da allora, cominciò l’ardore di un femminismo 2.0 e di un “corpo che è mio e lo gestisco io” (in molti casi sui social, s’intende). E poco importa (a lei) se la giornalista Charlotte Gill di The Indipendent mise in dubbio le sue intenzioni, affermando che le sue attività professionali “continuano a sostenere industrie che ci trattano come pezzi di carne”.
Una lotta che va dall’ormai superata pseudo-avanguardia di mostrarsi con le ascelle non rasate per dare nuova e libera definizione della femminilità, alla denuncia del maschilismo imperante di Hollywood, fino alla battaglia (ancora una volta con uno scatto di nudo) contro la legge antiaborto. Indimenticabile il selfie in topless allo specchio con Kim Kardashian. Lo scopo? Anche qui, la rivendicazione. “Siamo più dei nostri soli corpi, ma questo non significa che dobbiamo vergognarci di averli o della nostra sessualità”, si legge in didascalia. “Per quanto venire sessualizzate dallo sguardo della società sia degradante, deve esserci uno spazio in cui le donne possono ancora essere sessuali quando scelgono di esserlo”. Provocazione che da qualcuno venne derubricata a “selfie annoiato di due milionarie”.
L’endorsement a Bernie Sanders e la lotta contro Trump
Dall’attivismo alla politica, poi, il passo è stato breve. E a gennaio di quest’anno è arrivato l’endorsement per Bernie Sanders alle primarie democratiche in California. In mezzo alla neve e con un maglioncino rosa confetto con scritto sopra soltanto “Bernie”, Emily ha invitato i suoi 26 milioni di seguaci a sostenere il senatore del Vermont in corsa per la Casa Bianca contro Hillary Clinton. Ad entusiasmarla, in ordine sparso: il suo impegno per i diritti delle donne, l’integrità morale, l’opposizione ai finanziamenti delle corporation ai politici. Ora, inoltre, è acerrima nemica di Donald Trump. “Revolution has no borders”, “La rivoluzione non ha confini”, si è fatta cucire su una maglietta. E a chi le chiede se pensa che le donne debbano continuare a fare la rivoluzione, risponde: “Certo! Con quello che sta succedendo non solo con l’avvento di Donald Trump, ma anche in Europa, dobbiamo essere tutti uniti per dire no a muri e divieti”.
La voglia di “ricomprare sé stessa”
Nel 2018 l’arresto mentre protestava in piazza contro la nomina di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema degli Stati Uniti (perché il giudice era accusato di abusi sessuali) e infine, lo scorso settembre, il saggio scritto su The Cut a proposito della perdita di controllo sulla propria immagine che ogni vip subirebbe diventando personaggio pubblico. La denuncia, in questo caso, nasce da una storia nota: Ratajkowski postò su Instagram una fotografia scattata dai paparazzi e questi le inviarono una richiesta di risarcimento di 150mila dollari per l’uso dell’immagine (che, paradossalmente, rappresentava lei stessa). “Ho imparato quindi che il mio riflesso non mi appartiene” ha confidato a tal proposito. “Ho cominciato ad avere più familiarità a vedermi attraverso la lente dei fotografi che allo specchio”. Ne è nato un dibattito globale sul tema dell’utilizzo e della proprietà delle immagini, soprattutto di quelle del corpo femminile. Dibattito sociale che – da sempre – è viatico utile a regalare un senso al baratto d’immagine che ogni Very Important Person fa col pubblico.