Muoiono più celebrità di prima?

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(ilpost.it, 6 febbraio 2025)

La recente morte del regista statunitense David Lynch ha generato profonda commozione, non soltanto tra i cultori dei suoi film ma anche tra le molte persone che erano adolescenti quando uscì Twin Peaks, una delle serie tv più popolari di sempre. E come in precedenza la morte del cantante Liam Payne, quella dell’attrice Shelley Duvall o quella del fumettista Akira Toriyama, solo per citarne alcune delle tante del 2024, anche la morte di Lynch ha rafforzato un’impressione che tende a emergere ogni tanto sui media e sui social network: che le morti di persone famose siano più frequenti rispetto al passato.

L’ultima volta che questa impressione era diventata oggetto di estese attenzioni era stato nel 2016, un anno particolarmente funesto per musicisti di lunghissima fama (erano morti, tra gli altri, Prince, David Bowie, Leonard Cohen e George Michael). Da allora, diverse riflessioni hanno suggerito che in parte non sia soltanto un’impressione: muoiono effettivamente più persone famose rispetto a prima. Ma il discorso è un po’ più sfumato, perché riguarda anche diversi altri fattori che, influenzando le nostre percezioni e la nostra sensibilità, hanno cambiato nel tempo i criteri con cui definiamo la fama e il tipo di attenzione che riserviamo alla morte delle persone famose.

Secondo il giornalista Daniel Parris, che ne ha scritto di recente nella sua newsletter Stat Significant, una misura della fama nell’era di Internet può essere data dal fare parte oppure no del gruppo di persone per cui il New York Times ritiene di dovere inviare una notifica push quando una di loro muore. È una valutazione che in casi del genere fanno molti giornali del mondo. E non è detto che tutti i media ritengano ciò che una persona famosa ha fatto nella vita abbastanza importante da richiedere che i lettori smettano di fare quello che stanno facendo per controllare sullo smartphone una notifica che informa della morte di quella persona.

Per provare a capire se è vero che muoiono più persone famose rispetto a una volta può avere senso controllare la frequenza nel tempo delle frasi utilizzate dai giornali per dare notizie di questo tipo. Secondo i dati di Media Cloud, una piattaforma di analisi delle news on line consultata da Parris, la frequenza di frasi come dead at, has died e dies at (“è morto/a”, “è morto/a all’età di”) nei contenuti dei principali media statunitensi è, in effetti, aumentata in modo più o meno lineare dal 2010 in poi.

Le misurazioni ricavate in questo modo potrebbero però anche essere viziate a monte, almeno in parte, dall’interesse dei siti di news a generare traffico attraverso contenuti che attirano molto l’attenzione del pubblico: i necrologi delle persone famose, di solito, lo fanno. Non è detto cioè che il progressivo aumento dello spazio dedicato alla morte delle celebrità sia legato unicamente al fatto che ne muoiano più di prima: potrebbe anche riflettere una tendenza dei siti a includere più persone nel gruppo di quelle famose.

Le celebrità però muoiono più di prima anche secondo altre rilevazioni, tra cui un’analisi condotta da Parris su un database che comprende 2,29 milioni di persone notevoli della storia umana, dal 3.500 a.C. al 2018. Pubblicato nel 2022 sulla rivista Nature, è stato curato da sei economisti ed è basato su fattori come la quantità di visualizzazioni della pagina di Wikipedia associata a ciascuna persona famosa e la quantità di volte che il suo nome è citato su Wikipedia. Utilizzando questo archivio come campione di analisi, il numero di morti di persone famose aumenta dal Settecento in poi e, in modo ancora più netto, dalla seconda metà del Novecento.

Dall’analisi del database emerge in generale una correlazione tra la diffusione dei mass media, dai giornali al cinema e alla televisione, e l’aumento del numero di celebrità. A cominciare dalla seconda metà dell’Ottocento, il numero di nascite di persone famose comincia a superare di gran lunga il numero di morti. Di anno in anno le celebrità diventano più numerose, mentre cambiano anche i settori da cui provengono: nella seconda metà del Novecento la fama deriva di più da successi nello sport, nello spettacolo e nell’intrattenimento, i cui eventi vengono diffusi su larga scala dai media. E diventano invece via via meno numerose rispetto al passato le celebrità che di mestiere fanno i pittori, gli avvocati o i giornalisti, per esempio.

Un dubbio che potrebbe sorgere è se ci siano più persone famose rispetto a prima perché è aumentata la percentuale di persone famose nella popolazione generale. Questa percentuale è effettivamente aumentata nel Settecento e nell’Ottocento, ma è diminuita molto nella seconda metà del Novecento. E se il numero assoluto di celebrità aumenta ma la percentuale diminuisce, allora la popolazione generale aumenta di numero più velocemente delle celebrità.

Quello che è molto cambiato in tempi relativamente recenti, secondo Parris, è il rapporto che le persone non famose hanno con quelle famose. Negli anni Cinquanta, i sociologi statunitensi Richard Wohl e Donald Horton coniarono l’espressione interazione parasociale per descrivere la relazione unilaterale che il pubblico può sviluppare nei confronti di persone conosciute attraverso i mass media. Può avere effetti psicologici simili a quelli delle relazioni faccia a faccia, a differenza delle quali non è però ricambiata: una persona può condividere una sensazione d’intimità con Brad Pitt, per esempio, anche se Brad Pitt nemmeno sa che quella persona esiste.

Questo tipo di relazione è alla base degli interessi economici legittimi e illegittimi di vari attori sociali: dalle grandi aziende dei media che documentano ogni aspetto della vita o delle relazioni di Brad Pitt per soddisfare e sostenere una domanda per loro proficua, ai truffatori che fingono di essere Brad Pitt. Inoltre, come hanno scritto sul sito The Conversation le ricercatrici canadesi Susan Cadell e Stephanie Levac, le piattaforme dei social media hanno ulteriormente cambiato la natura delle relazioni parasociali, permettendo ai fan d’interagire con le celebrità e di riunirsi tra loro sulla base della passione condivisa per una determinata celebrità.

Le espressioni di dolore e di lutto condivise sui social quando una celebrità muore, da un lato sono una prova della sua fama e dall’altro pongono anche una serie di domande morali sul senso di quelle reazioni. «Dovremmo davvero piangere le celebrità fino a questo punto?», si è chiesto Parris. Diverse persone pensano di no, e sono anzi piuttosto critiche verso questo tipo di manifestazioni emotive. Ritengono il culto delle celebrità una caratteristica perversa delle nostre società e una distrazione dall’obiettivo di creare vere comunità, non basate sulla condivisione di elementi così superficiali.

Altre persone interpretano queste manifestazioni in modo meno severo e le contestualizzano all’interno di una tendenza storica più ampia a celebrare le persone famose, sia in vita sia quando muoiono. Secondo Parris, se una persona ha fatto qualcosa che la comunità considera straordinario e meritorio, non solo non c’è niente di male nel celebrarla, ma ha senso prenderci un momento per onorarla o per riflettere in privato quando muore.

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