di Massimiliano Panarari («Il Venerdì», suppl. a «la Repubblica», 26 gennaio 2018)
Edgar Morin, l’ultimo dei grandi maître-à-penser francesi, ha sempre camminato sulla strada dell’interdisciplinarietà. Perciò il famoso sociologo (e filosofo), considerato uno dei teorici della complessità per eccellenza, si è dedicato a molteplici campi di studio.E, tra questi, la cultura di massa, a cui consacrò nel 1962 un volume importantissimo, uno dei primi grandi lavori in quell’ambito. Era Lo spirito del tempo che torna ora in libreria (Meltemi, pp. 340, euro 17) in una nuova traduzione (di Claudio Vinti e Giada Boschi), che restituisce bene i suoi sofisticati giochi linguistici in francese, con l’aggiunta di una sua prefazione scritta nel 2006, e degli interessanti saggi degli studiosi Ruggero Eugeni e Andrea Rabbito. Un libro uscito prima del Sessantotto – e il sociologo, infatti, vorrà poi analizzare le novità apportate dalle “contro-culture” (nel saggio Il nuovo spirito del tempo, pubblicato in Appendice di questa edizione) –, e che resta fondamentale. Morin indaga la cultura di massa come un complesso organizzato di immagini, simboli e miti, diffuso dall’industria dei media, che agisce sulla società, cancellando o modificando le culture premoderne, tradizionali e religiose. E che fa riemergere, rinnovandolo secondo i modelli di divertimento e tempo libero dell’età postindustriale (la ludificazione, la spettacolarizzazione e I’erotizzazione), l’elemento arcaico dell’immaginario. Ne scaturiscono così una nuova mitologia e una diversa psicologia collettiva, alimentate anche dal divismo del mondo del cinema. La cultura di massa si nutre di una dialettica e di tensioni: tra la fuga immaginaria dalla realtà e la creazione di modi differenti di partecipare ad essa, e fra la burocratizzazione e la standardizzazione come logiche di funzionamento dell’industria culturale e il consumo individuale dei suoi prodotti immateriali. Morin coglieva con grande originalità la dimensione ibrida (appunto, tra reale e immaginario) introdotta dai mass media: un fenomeno che oggi risulta totalmente acquisito, perché attraverso i dispositivi digitali si svolge buona parte dell’esperienza quotidiana. Ma questo testo, pionieristico, ha per molti versi anticipato la futura centralità della cultura visuale – l’egemonia dell’immagine dell’odierna età digitale – e insegna l’esigenza di uno sguardo critico che non sia prevenuto, ma neppure accondiscendente, sullo “spirito del tempo” in cui si vive.