(ilpost.it, 11 ottobre 2020)
Lo scorso 8 ottobre è morto Mohammad Reza Shajarian, famosissimo cantante e musicista iraniano. La sera della sua morte migliaia di suoi fan – persone di ogni età – si sono raccolti all’esterno dell’ospedale in cui era ricoverato e hanno cominciato a cantare alcune delle sue canzoni più famose, composte a partire da testi di poesia persiana e ricche di allusioni alla situazione politica del Paese, e slogan contro il governo. Sono state poi disperse dalle forze dell’ordine. Shajarian era apprezzatissimo in Iran, da persone di generazioni e idee politiche diverse. Aveva 80 anni e una storia notevole.
Nato il 23 settembre 1940, da bambino Shajarian imparò la recitazione musicale di versetti del Corano e studiò il “radif”, il sistema di melodie che forma la base della musica classica persiana e si è preservato attraverso la tradizione orale. All’inizio della sua carriera cantava ballate trasmesse dalle radio, inizialmente usando uno pseudonimo perché suo padre, molto conservatore, non approvava che lui facesse il cantante. Raggiunse una popolarità notevole per via delle qualità della sua voce, intensa e “ondeggiante”, su cui aveva estremo controllo. Le melodie che cantava erano le melodie tradizionali, che però arricchiva con trilli, abbellimenti e improvvisazioni molto elaborate.
Dopo la rivoluzione islamica del 1979, in un crescente clima di ostilità verso artisti e musicisti, Shajarian lasciò il Paese. Le autorità religiose iraniane proibirono qualsiasi forma di musica, eccetto la musica strumentale della tradizione persiana e le canzoni classiche. Quando, dopo quattro anni senza esibirsi, Shajarian tornò a cantare nel Paese, i leader islamici lo utilizzarono come prova del fatto che non si opponevano a tutti i tipi di musica. Tornò a essere una presenza fissa della tv e della radio iraniane. La sua versione di un verso del Corano noto come “Rabana” o “Rabbana” diventò il suono che segnava il momento in cui milioni di iraniani interrompevano il loro digiuno al tramonto durante il mese del Ramadan.
A lungo Shajarian si astenne dall’esprimere direttamente le sue idee politiche, anche quando era all’estero. Decise ad esempio di interrompere un concerto a Stoccolma, in Svezia, dopo che il pubblico, composto per la maggior parte da iraniani, aveva cominciato a intonare slogan contro la Repubblica Islamica. I testi che sceglieva di cantare, però, permettevano ai suoi fan di intuire le sue posizioni politiche. Sceglieva infatti canzoni della musica tradizionale persiana, accettate anche dalle autorità islamiche, ma con testi che parlavano di libertà e oppressione. Un buon esempio è Morghe Sahar (Uccello della libertà), una delle sue canzoni più famose, che parla della perdita della speranza da parte di un popolo che cercava la libertà ma ora è imprigionato, in gabbia come un uccello.
Le cose per Shajarian cambiarono di nuovo con le proteste del 2009. In quei giorni fu ripreso mentre salutava dall’auto un suo fan, mostrandogli il segno della vittoria e dicendo: «Morte al dittatore!». Il video dell’episodio circolò moltissimo, ma la sua popolarità e la sua influenza erano tali che non fu arrestato, né costretto a fuggire, anzi: fu lui stesso a chiedere alla radio di Stato di smettere di trasmettere la sua musica. Il governo iraniano rispose vietandogli di esibirsi dal vivo o pubblicare nuovi dischi in Iran, e vietò la diffusione della sua musica su tutti i media. Anche la sua versione di “Rabana” fu bandita.
La sua popolarità continuò comunque a crescere, e Shajarian continuò a esibirsi e registrare dischi all’estero, dove ottenne molti riconoscimenti. L’Unesco, ad esempio, lo premiò con la medaglia Picasso nel 1999 e la medaglia Mozart nel 2006; nel 2010 Npr lo nominò una delle “50 grandi voci del mondo”, e nel 2014 ricevette il titolo di Cavaliere della Legione d’Onore dal governo francese. Non gli fu però mai più permesso di tornare a suonare in Iran. Nonostante questo, sono diversi i politici iraniani che hanno pubblicato messaggi di cordoglio. Il presidente iraniano Hassan Rouhani, ad esempio, ha scritto su Twitter che «l’Iran conserverà per sempre nella sua memoria il nome, il ricordo e le opere di questo famoso artista», aggiungendo che quella lasciata da Shajarian è «un’eredità di grande valore».