di Antonello Guerrera (repubblica.it, 15 febbraio 2018)
«Trump è infantile, confusionario, uno stupido. Con lui tutto è un delirio, niente è normale». Il giornalista del momento, Michael Wolff, è in tour in Italia in questi giorni ma a migliaia di chilometri di distanza da Washington continua a fustigare – e offendere – il presidente Donald Trump.Wolff sta presentando il suo oramai celebre Fire and Fury (Rizzoli) che il presidente americano ha cercato di bloccare fino all’ultimo, e oggi ha fatto tappa a Roma per incontrare alcuni giornalisti. Il libro ha già venduto un milione e mezzo di copie nel mondo, al primo giorno ha visto file “stile Harry Potter” nelle librerie per conquistarne una copia e continua ancora oggi a far discutere dopo le sue clamorose rivelazioni su Trump. Potenza di un libro, nel 2018. Incredibile? Mentre i reporter della Casa Bianca riportano (quasi) tutto su Twitter in tempo reale, Wolff ha accumulato per oltre un anno voci, soffiate, appunti, per poi pubblicare un’opera magna: «È quello che manca al giornalismo della nostra epoca frenetica di oggi. Il lavoro lento, con le sue sfumature, ha soddisfatto una fame di informazione politica che nessuno pensava esistesse più. E invece». Ma dica la verità Wolff, Trump in fin dei conti sotto sotto fa bene al giornalismo? Il New York Times e il Washington Post stanno accumulando record di abbonamenti digitali: «Trump e il giornalismo sono due entità dipendenti. The Donald non può esistere senza i media e i media non potrebbero avere un soggetto migliore di cui parlare». Nonostante il grande successo e gli indubbi meriti, Wolff in patria è stato anche accusato di aver scritto imprecisioni, di aver prima accusato i colleghi giornalisti di articoli impropri su Trump “affinché potesse ingraziarselo” e poi utilizzato metodi scorretti per raccogliere le informazioni, come quella di rendere noti particolari e altre informazioni confidenziali sui quali gli interlocutori avevano posto un veto alla pubblicazione. Wolff non ci sta e spiega precisamente i tempi e i metodi di “raccolta” dei segreti all’interno della Casa Bianca, cosa neanche troppo difficile: «Nessuno sapeva chi fossi o cosa facessi alla White House. Il lunedì chiedevo degli appuntamenti con i vari Bannon eccetera, il giorno dopo ero lì, spesso non mi ricevevano e io aspettavo, passando tutto il giorno alla Casa Bianca. È stato facile: non ho dovuto fare neanche una domanda, mi dicevano tutto i collaboratori del Presidente, lacerati in diverse fazioni. Ognuno parlava male dell’altro, si sfogava con me, e così, a poco a poco, sono diventato il loro confidente». Ma le conversazioni “off the record” pubblicate senza il consenso degli interlocutori? «A un certo punto non si sapeva più cosa fosse pubblicabile o meno, si è perso ogni parametro: l’ex capo di gabinetto Priebus, per esempio, mi rivelava cose che dovevano essere riservatissime e poi andava a dirle in tv». Del resto, mai un presidente americano nella storia recente ha subito tanti “leak”, ossia informazioni riservate passate di nascosto ai media, come Donald Trump. E il libro di Wolff ne è il collezionista principe. Così la reputazione di The Donald non viene decisamente (e preventivamente) più inquinata rispetto a quella dei suoi predecessori? «Ma Trump è il primo a rivelare informazioni», si giustifica Wolff, «se le lascia sfuggire con tutti, soprattutto con i suoi familiari. E poi ci sono così tante fazioni alla Casa Bianca, ognuna con i suoi responsabili stampa, questo non è mai capitato prima a West Wing. Sì, i “leak” riflettono sicuramente una cattiva luce su Trump, ma allo stesso tempo questo caos riflette che cosa sia davvero Trump e il suo modo di vedere le cose. Anzi, che dico, lui non vede niente. E non ha il controllo della struttura di cui dovrebbe essere responsabile». Ma quali saranno le conseguenze di questo caos della presidenza Trump? «Ci saranno sicuramente ripercussioni sulla democrazia», sentenza Wolff, «ma è difficile dire adesso di che tipo o gravità. Lui è l’esatto opposto di un uomo politico: non calcola minimamente cause ed effetti delle sue azioni. Prendiamo per esempio la politica estera. La sua dottrina nei confronti degli altri Paesi è estremamente semplice: dateci quello che vogliamo e noi vi diamo quello che volete». The Donald rischia l’impeachment sul Russiagate? «Come abbiamo già visto, con lui niente è prevedibile e tutto può succedere. Se il controllo della Camera dei rappresentanti passa ai democratici l’impeachment è possibile. Vedremo. Secondo me è anche possibile che il procuratore speciale Mueller non rilevi attività illegali o comunque non riuscirà a provarle perché ha di fronte persone davvero stupide, che magari hanno compiuto atti casuali di idiozia senza un provato intento cospirativo». Wolff adora l’Italia e viene spesso nel nostro Paese, automatica la domanda sul paragone Trump-Berlusconi: entrambi sembrano sempre sul punto di accumulare figuracce, sentenze negative, di cadere e mollare la politica, ma alla fine sono sempre lì. «Non credo che The Donald potrà resistere al primo mandato presidenziale», prevede Wolff, «tuttavia, c’è una grande differenza con Berlusconi: quest’ultimo vuole rimanere attaccato al potere e alle istituzioni politiche a ogni costo, mentre a Trump questo non interessa. Trump non vuole governare, lui vuole solo diventare il più famoso possibile, punto».