Mete, fischi e politica: Philadelphia rovina il Super Bowl dei Maga

Ph. Patrick Smith – Getty Images

di Paolo Mastrolilli (repubblica.it, 10 febbraio 2025)

Samuel Jackson vestito da Zio Sam, personificazione dell’America, che rimprovera il rapper Kendrick Lamar perché il suo show all’intervallo del Super Bowl è “too ghetto”, una roba troppo da cultura nera dei quartieri emarginati. Sarebbe bello poter guardare una partita di football solo per il suo valore agonistico, ma se è vero che lo sport è una metafora della vita, è impossibile che la vita non s’impicci dello sport.

Cosa che di questi tempi riconduce inevitabilmente alla rivoluzione tentata da Donald Trump, per cancellare i diritti e annichilire via decreto le politiche inclusive. Non siamo noi a forzare questa interpretazione, ma il movimento Maga, che, attraverso autorevoli esponenti come Lauren Boebert o Matt Gaetz, ha reagito allo show definendolo un culto satanico del nazionalismo nero in rivolta. Per non parlare poi dell’uscita anticipata dallo stadio di New Orleans del Presidente, forse annoiato dalla supremazia dei Philadelphia Eagles sui Kansas City Chiefs, o indispettito dall’affronto di una finale terminata col trionfo della squadra che nel 2018 aveva rifiutato il suo invito alla Casa Bianca.
[…] la National Football League è diventata uno dei principali teatri delle irrisolte tensioni razziali americane, almeno da quando il quarterback dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick si è giocato la carriera, inginocchiandosi durante l’inno per protestare contro le violenze della polizia sulla popolazione di colore: era il 2016, agli albori di Black Lives Matter. […] Su questo sfondo siamo arrivati alla finale di domenica, nella città di Louis Armstrong, il jazz e il gumbo (una minestra tipica della cultura creola), troppo carica di significati per relegarla alla categoria di evento sportivo. […]
Storia nella storia, la presenza nella squadra di Kansas City del quarterback Patrick Mahomes, la cui moglie Brittany [ex calciatrice – N.d.C.] alle elezioni del 5 novembre aveva appoggiato Donald, e del tight end Travis Kelce, fidanzato di Taylor Swift, che invece aveva sostenuto Kamala Harris. Non a caso, quando il pubblico ha fischiato la cantante, il capo della Casa Bianca non ha resistito alla gioia di sottolineare che «il movimento Maga non perdona».
La Nfl ha cercato il compromesso, togliendo dalla linea di meta la scritta “End Racism” per sostituirla con quella “Choose Love”. Che per carità, scegliere l’amore è sempre meglio di fare la guerra, ma dava pure l’impressione di una concessione al Presidente deciso a cancellare le politiche “Dei”, ossia Diversità, Equità e Inclusione. La gestione dello show all’intervallo è però affidata dal 2019 a Jay Z, marito di Beyonce che aveva cantato per Kamala in Texas, e pur dicendo che «siamo oltre l’inginocchiamento», lui lo ha trasformato in una celebrazione dell’hip hop.
Quest’anno in particolare, decidendo di scritturare per il concertone di metà gara il rapper Kendrick Lamar, una delle voci più forti della controcultura nera. È vero che Lamar si è concentrato sulla vendetta personale contro il rivale “pedofilo” Drake, chiudendo con il brano “diss” – termine liberamente traducibile con “sputtanamento” – Not Like Us, ma il movimento Maga ha capito l’antifona e si è ribellato. Matt Gaetz, peraltro indagato per aver pagato minorenni allo scopo di fare sesso, ha scritto: «Lo show è la risposta del regime alla storica crescita di Trump fra gli uomini neri».
Ha torto fino ad un certo punto, perché è vero che il voto afroamericano per Donald è aumentato. Lauren Boebert si è focalizzata sull’insulto razzista, dicendo che servivano i sottotitoli per capire cosa diceva il rapper, mentre per Eric Daugherty e Benny Johnson lo spettacolo è stato «nazionalismo nero» accompagnato da «satanismo».
Ospite fuori programma, durante lo spettacolo, è stato poi un uomo che è saltato su una macchina sventolando le bandiere di Gaza e del Sudan, prima di essere allontanato a forza. […] Il capitano degli Eagles, Lane Johnson, ha detto che la squadra voterà per decidere se andare alla Casa Bianca o ripetere il gran rifiuto del 2018. Ammesso che stavolta il deluso Donald Trump decida di invitarla.

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