
di Riccardo Papacci (huffingtonpost.it, 16 marzo 2025)
Vedendo A Complete Unknown di James Mangold si ha l’impressione di ritrovarsi in un mondo alieno, diverso da quello in cui viviamo oggi. Un mondo in cui il ventenne Bob Dylan si trasferisce dal Minnesota a New York solo per incontrare il suo idolo, Woody Guthrie. Ma anche lo stesso mondo in cui Dylan viene insultato solo perché passa dalla chitarra acustica a quella elettrica al Newport Festival.
Il film di Mangold (già svezzato al mondo musicale con il quasi complementare Quando l’amore brucia l’anima – Walk the Line, del 2005) segue l’arco temporale di questi due esempi di mondi così distanti, e ci fa riflettere sul fatto che i tempi, alla fine, sono cambiati davvero – come cantava profeticamente in The Times They Are a-Changin’. Sono cambiati nel modo in cui immaginava Dylan e in mille altri modi, dal 1964 (anno di uscita del brano) a oggi. A nessuno, infatti, verrebbe in mente di musicare testi mai pubblicati del suo idolo Woody Guthrie… o meglio, forse oggi no, ma fino a qualche anno fa non fu l’unico a essere interessato.
Partiamo da lontano. Bob Dylan strinse un rapporto di amicizia con Woody Guthrie, ne conosceva a memoria molte delle canzoni ed era solito cantarle sin dai suoi primi spettacoli. Nel 1956 venne diagnosticata a Guthrie una patologia genetica neurodegenerativa che colpisce la coordinazione muscolare, portando a un declino cognitivo e a problemi psichiatrici, la malattia di Huntington. Per questo motivo fu confinato al Greystone Hospital di Morristown, nel New Jersey.
Bob Dylan andava a fargli visita con una certa regolarità: «di solito prendevo l’autobus dalla stazione di Port Authority, mi facevo un’ora e mezza di viaggio e poi una camminata di mezzo miglio su per la collina fino all’ospedale, un tetro, minaccioso edificio di granito che pareva una fortezza medievale. Woody mi chiedeva sempre di portargli sigarette. Sigarette Raleigh. Di solito passavo il pomeriggio a suonargli le sue canzoni». Guthrie, uno dei punti di riferimento del folk statunitense, «non era molto considerato in quel luogo che peraltro era poco indicato per incontrarvi chiunque, meno che mai la vera voce dello spirito americano». Le visite non erano affatto edificanti, in quanto il luogo era popolato da personaggi assurdi e riecheggiava di lamenti tra i corridoi.
Durante una delle sue visite, Guthrie confidò a Dylan che aveva scatole piene di canzoni e poesie inedite, delle quali nessuno era a conoscenza e che non erano ancora mai state messe in musica. Si trattava, perlopiù, di scritti risalenti al suo periodo newyorkese. Gli disse poi che se ne voleva qualcuna, aveva tutto il permesso di appropriarsene, anche se quegli scatoloni ovviamente non si trovavano lì con lui in clinica, bensì a casa di sua moglie Marjorie.
Il giovane Dylan, seguendo le indicazioni di Guthrie, si mise in viaggio il giorno dopo, ma attraversò inavvertitamente una palude, ritrovandosi fradicio e infreddolito prima di raggiungere la casa. Bussò e la governante aprì, ma Margie non c’era. Arlo, uno dei figli di Guthrie, che diventerà poi musicista, disse alla governante di lasciarlo entrare. Ma «Arlo allora aveva dieci o dodici anni e non sapeva niente di manoscritti chiusi in cantina». Bob Dylan, che non voleva essere invadente, restò lì giusto per il tempo di asciugarsi e poi se ne andò. Passarono lunghi anni. Dylan divenne il Bob Dylan che tutti conoscono, ma quegli scritti restarono negli scatoloni. Qualche anno dopo, Woody Guthrie morì.
Che ne fu di quelle canzoni? «Quarant’anni dopo quei testi sarebbero finiti nelle mani di Billy Bragg e dei Wilco. Sarebbero stati loro a metterli in musica, a riportarli in vita e a registrarli, il tutto sotto la direzione della figlia di Woody, Nora. Forse quegli artisti non erano nemmeno nati quando io feci quell’escursione a Brooklyn». Lapidarie queste parole. Le uniche di Dylan al riguardo, tratte dalla sua autobiografia Chronicles: Volume One (2004).
Nel 1995 Nora Guthrie contattò il cantautore inglese folk-punk Billy Bragg, proponendogli di musicare quei testi, con l’idea che il pubblico scoprisse un lato meno conosciuto di suo padre, al di là delle sue canzoni di protesta. Bragg coinvolse nel progetto la band americana Wilco, e le session si avviarono rapidamente tra Dublino, Chicago e Boston. Il 6 giugno 1998, l’album Mermaid Avenue si trovava nei negozi di dischi. Nel 2000 uscì un secondo volume e nel 2012 un terzo, incluso in un cofanetto contenente anche il documentario Man in the Sand (1999) che racconta la lavorazione del progetto.
L’album trovò l’immediato favore di critica e pubblico, mostrando un lato di Guthrie finora abbastanza nascosto, più esistenziale e profondo, ma al tempo stesso anche più scanzonato, capace di affrontare molteplici tematiche. Mermaid Avenue va inquadrato all’interno del revival folk di quegli anni, incentrato sulla ricerca dell’autenticità nella canzone americana. Se Billy Bragg, inglese puro, era perfetto per coprire l’aura riot col suo punk acustico politicizzato, i Wilco mettevano in evidenza proprio questa trasfigurazione del suono a Stelle e Strisce, più distante dal folk canonico, ma profondamente radicata nel suono americano.
Oltre a Mermaid Avenue, ci furono altri album che seguirono un approccio simile. Il gruppo klezmer newyorkese The Klezmatics esplorò l’eredità ebraica di Guthrie negli album Wonder Wheel (2006) e Woody Guthrie’s Happy Joyous Hanukkah (2006). La cantautrice folk-pop Jonatha Brooke approfittò di alcuni altri testi nel suo The Works (2008), e addirittura la band Celtic punk Dropkick Murphys poté attingere dal canzoniere guthriano con l’album This Machine Still Kills Fascists (2022). Almeno un paio di compilation furono pubblicate con lo stesso intento: New Multitudes (2012), un progetto collaborativo per celebrare il centenario della nascita di Woody Guthrie, e Note of Hope: A Celebration of Woody Guthrie (2011), che raccoglie interpretazioni di artisti come Van Dyke Parks, Lou Reed, Tom Morello, Jackson Browne e Ani DiFranco, tutti impegnati a dar voce a testi inediti di Guthrie.
Lo spirito di Guthrie ha continuato ad aleggiare sulla canzone folk, non solo americana, per molti anni; e continua a farlo ancora oggi. L’intento di Nora Guthrie di rinnovare l’eredità del padre attraverso la musica contemporanea ha avuto un impatto significativo. Per fugare ogni dubbio, sia Bragg sia i Wilco hanno sempre dichiarato ammirazione per Dylan, considerandolo un’influenza primaria, imprescindibile. Jeff Tweedy (frontman dei Wilco) ha avuto anche l’onore di suonare in alcuni concerti insieme a lui […] nel 2014. Bob Dylan, dal suo canto, ha sempre espressamente dichiarato devozione nei confronti di Guthrie, dedicandogli brani (Song to Woody), eseguendo sue composizioni dal vivo e in album-tributo, come per Folkways: A Vision Shared del 1988.
Il legame affettivo e spirituale di Dylan con Guthrie non ha bisogno di ulteriori celebrazioni, e A Complete Unknown lo chiarisce fin dall’inizio. Mentre scorrono ancora i loghi della Searchlight Pictures, le prime parole pronunciate nel film sono: «Ladies and Gentlemen, Woody Guthrie». Subito dopo partono i titoli di testa accompagnati da Dusty Old Dust di Guthrie, non da una canzone di Dylan. Solo più tardi vedremo Dylan recarsi al Greystone Hospital per cantare Song to Woody davanti a Guthrie e Pete Seeger.
Affrontare nel film il motivo per cui Dylan non ebbe mai occasione di musicare i testi inediti di Guthrie sarebbe stato complesso, ma resta una domanda intrigante: chi, meglio di lui, avrebbe potuto farlo? Detto ciò, il film è solido e ben costruito, e non c’è molto da eccepire. Eppure, per chi conosce questa storia, il quesito resta: perché non Dylan?