Meme, influencer, Instagram: la via social di Bloomberg alla Casa Bianca

di Simona Siri (linkiesta.it, 14 febbraio 2020)

Due giorni fa sul profilo Instagram @kalesalad, seguito da tre milioni e mezzo di follower, è apparso lo screenshot di una conversazione tra il titolare dell’account e Michael Bloomberg contenente questo scambio: «Salve Mr. Salad. Puoi pubblicare questo meme per farmi sembrare figo per le prossime primarie democratiche?».

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Sotto c’era la foto di un’insalata di kale (in Italia è il cavolo nero, in Usa ormai è ovunque) con questa didascalia: «Michael Bloomberg è come un’insalata di kale: dura e insapore, ma alla fine buona per la tua salute». Lo scambio proseguiva con il titolare dell’account che rispondeva a Bloomberg che la battuta non faceva ridere e si chiudeva con Bloomberg che gli offriva un miliardo per postarla. Tutto molto meta, quindi, dal momento che sotto, nel post vero e proprio, @kalesalad ammetteva che quello era un contenuto pagato dalla campagna di Mike Bloomberg.

Oltre ai 200 e passa milioni già spesi in spot televisivi, oltre ai 10 milioni per quello trasmesso durante il Super Bowl, oltre a chissà quanto speso durante l’impeachment per assicurarsi che tutte le ricerche che si facevano su Google con la parola “impeachment” dessero come risultato un post da lui sponsorizzato che si intitolava «enough is enough», Mike Bloomberg da qualche giorno è sbarcato anche su Instagram. Oltre che su @kalesalad contenuti sponsorizzati dalla sua campagna sono comparsi sugli account di @TankSinatra (2,3 milioni di follower), @WhitePeopleHumor (4,3 milioni) e @FuckJerry (14,9 milioni follower). Quello che questi account hanno in comune, oltre i milioni di follower, è che sono creatori di meme. Il più famoso @FuckJerry è celebre anche per due polemiche che lo hanno riguardato: aver rubato battute a una serie di comici e l’aver fatto da piattaforma social a quel disastro che è stato il Fyre Festival, il mega festival musicale alle Bahamas rivelatosi poi una mezza truffa.

Secondo quanto riporta il New York Times la campagna di Bloomberg sta lavorando con Meme 2020, una società appena fondata che raggruppa i più grossi creatori di meme in circolazione. Lo stratega principale del progetto Meme 2020 è infatti Mick Purzycki, che è anche amministratore delegato di Jerry Media, la società di marketing di cui fa parte @FuckJerry. «La campagna, lanciata questa settimana – scrive il New York Times –, ha già inserito post sponsorizzati su account Instagram tra cui @GrapeJuiceBoys, una pagina meme con oltre 2,7 milioni di follower; l’account più popolare di Jerry Media, con oltre 13,3 milioni di follower; e @Tank.Sinatra, un account con oltre 2,3 milioni di follower. Tutti gli account hanno pubblicato annunci della campagna Bloomberg sotto forma di falsi messaggi diretti del candidato».

Non solo: Bloomberg la scorsa settimana ha anche preso contatti con un’agenzia chiamata Tribe il cui ruolo è di mettere in contatto influencer anche piccoli – i cosiddetti mini-influencer, quelli con un seguito intorno ai 10mila follower o meno – con i brand, sollecitando da parte degli influencer la creazione di contenuto per cifre pari a 150 dollari a post. «Abbiamo una rete di persone che vogliono creare contenuti per i marchi e, in questo caso, il marchio era la campagna di Bloomberg», ha detto Anthony Svirskis, Ceo di Tribe a BuzzFeed.

Secondo Nbc News nelle ultime due settimane Bloomberg ha speso una media di un milione al giorno in contenuti sponsorizzati su Facebook, il che equivale a cinque volte la cifra spesa da Donald Trump nello stesso periodo e tre volte quella spesa da Trump durante la campagna del 2016. Il 30 gennaio, ad esempio, Bloomberg ha speso in un solo giorno 1,7 milioni di dollari in pubblicità Facebook. Secondo Cnn, l’ex sindaco di New York ha già messo in cantiere di spendere 129 milioni di dollari in pubblicità tra tv e social negli Stati chiave del Super Tuesday, il martedì in cui si assegnano 1.357 delegati e che quest’anno cade il 3 marzo. Bernie Sanders, in confronto, ne spenderà solo 7.

Non è un segreto che la campagna di Bloomberg sia costruita in modo molto simile a quella vittoriosa di Trump del 2016. All’epoca il candidato Trump spese 44 milioni di pubblicità su Facebook negli ultimi cinque mesi prima delle elezioni, con una media di 2 milioni a settimana. Funzionerà? Quelli che sostengono di sì dicono che se ha funzionato per Trump, perché mai non dovrebbe funzionare per chi ha ancora più soldi a disposizione da investire? Non solo, i numeri dicono che qualcosa sta già succedendo: arrivato nelle primarie tardi, a novembre, Bloomberg è il candidato che ha ottenuto il più grande aumento nei sondaggi salendo al terzo posto con il 15 per cento (Quinnipiac). «Non si può comprare una nomination», ha detto Joe Biden di recente. Harry Enten di Cnn ha raccontato in tv che una sua vecchia zia che vive in un paesetto della Louisiana ieri lo ha chiamato per chiedergli: ma chi è questo Bloomberg che continuo a vedere tutti i giorni in tv? Non si può comprare la nomination, ma altre cose sì e la popolarità è la prima di queste.

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