di Giuseppe Colombo (huffingtonpost.it, 3 settembre 2020)
Il passaggio che squarcia gli equilibri dentro Mediaset, in casa Berlusconi, è contenuto in una riga e mezza. Quella della sentenza della Corte di Giustizia Europea: «La disposizione italiana che impedisce a Vivendi di acquisire il 28% del capitale di Mediaset è contraria al diritto dell’Unione». Tradotto: la mossa del Biscione, che aveva chiesto e ottenuto un intervento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per bloccare la scalata ostile dei francesi, si è trasformata in un boomerang.
Ma la sentenza travalica la dimensione dei danni in casa Berlusconi. Apre uno scenario inedito, legittima il protocollo del liberi tutti in un mercato dove la tv si incrocia sempre più con le tlc, dove i pesci grandi possono diventare ancora più grandi e quelli piccoli soccombere perché privi delle difese che fino ad ora gli venivano garantite dalla legge.
Fosse arrivata vent’anni fa, la decisione della Corte avrebbe scatenato un dibattito acceso e velenoso nella politica italiana. Perché allora Silvio Berlusconi aveva il vento in poppa e la tv italiana, da quando è sceso in campo nel 1994, è diventata questione politica oltre che economica e industriale. Ma ora che il Cavaliere è ai margini, ora che Forza Italia non è più il partito pilota delle sue tv, l’aria è cambiata. E la sentenza della Corte si innesta in questo percorso di declino perché toglie a Fininvest, la società attraverso cui i Berlusconi controllano Mediaset, quel potere che fino ad ora aveva esercitato per garantirsi una fetta predominante del mercato televisivo italiano, quello della tv generalista.
Cosa dice la sentenza della Corte
Bisogna riavvolgere il nastro. Per effetto dell’intervento dell’Authority di cui si diceva, il 28,8% dei francesi dentro Mediaset è stato ridotto a un effimero 9,98%: poche sedie e di poco peso nelle assemblee in cui prendono le decisioni che contano. Ora la Corte ribalta tutto: quel 28,8% è legittimo.
La tutela perduta della Legge Gasparri
Ma come aveva fatto Fininvest a bloccare il tentativo di Vincent Bolloré? La risposta è da rintracciare nell’articolo 43 del Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici. Il Testo fu messo in campo dal secondo governo Berlusconi raccogliendo le norme del settore, tra cui soprattutto la cosiddetta Legge Gasparri, quella che ha messo mano nella giungla della tv e della radio introducendo il concetto del Sic, il Sistema Integrato delle Comunicazioni che ha introdotto dei paletti in termini di partecipazioni incrociate da parte di una società in Italia. E dato che Vivendi abita anche in casa Tim, anzi ne è l’azionista di punta con il 23,94%, ecco che ai francesi è stato detto nell’altra casa, cioè Mediaset, si può stare con un massimo del 10%, che è la percentuale fissata dal Testo Unico. Quando Bolloré fece capire a Berlusconi che stava facendo sul serio, ecco che la famiglia chiese l’intervento dell’Agcom. Intervento che ha portato i francesi a diluirsi fino a sotto il 10%.
Cosa succede dentro Mediaset
Il primo e più imponente effetto che la sentenza della Corte Ue ha dentro Mediaset è il rimescolamento delle posizioni di forza. Fininvest, la società della famiglia Berlusconi, resta l’azionista di riferimento e di punta con il 44,18% delle azioni (che salgono a 45,86% in termini di diritti di voto), ma con il 28,8% i francesi possono dire la loro. Eccome se possono dirla. Ufficialmente, con i numeri, e con un sì o con un no che risulterà decisivo nelle scelte di Mediaset. Detto in una sola frase: Bolloré potrà mettere i bastoni tra le ruote a chi ha in famiglia ha raccolto l’eredità di Silvio Berlusconi. Per contare di più nella stanza dei bottoni basterà una semplice operazione: un’assemblea e la richiesta di Vivendi di entrare in possesso e di attivare il 28,8% che ha in mano, riappropriandosi di quel 19,9% che ha dovuto parcheggiare intanto in una società fidata. Di più. I francesi possono salire ancora, avvicinandosi pericolosamente a Fininvest e, ultima ma non meno importante, hanno la facoltà di chiedere un risarcimento pesante, in termini di soldi, all’Autorità di garanzia per le comunicazioni.
Cosa succede nel mondo delle tv e delle tlc
Si apre uno scenario nuovo. E inedito. La Legge Gasparri, attraverso il Sic, ha messo in piedi un sistema con paletti precisi. E questo, letto nell’ottica del mercato italiano, ha fatto sì che Mediaset potesse giocare un ruolo indisturbato nel campo della televisione. Certo le alleanze europee si sono rese necessarie anche per il Biscione perché l’arrivo di Netflix e Amazon hanno cambiato contenuti e modalità di fruizione da parte del pubblico, ma tenere Vivendi in una posizione minoritaria ha dato alla famiglia Berlusconi una libertà di azione in casa e fuori in termini di cervello che decide e comanda. Se l’avventura di Mediaset Premium è stata disastrosa, quella della tv generalista ha retto o comunque ha potuto giocare in un campo di fatto solitario, al netto della competizione con la Rai in alcuni ambiti.
Ora che la Corte di Giustizia Europea ha introdotto il protocollo del liberi tutti, o comunque di vincoli meno stringenti per le partecipazioni incrociate, il mercato andrà necessariamente verso una maggiore integrazione tra il mondo della tv e quello delle tlc. Quale effetto può avere la sentenza della Corte lo spiega a Huffpost Antonio Pilati, esperto della materia, già componente dell’Autorità per le comunicazioni e dell’Antitrust. «La sentenza» spiega «favorisce un campo unico per i vari operatori, dove tutti saranno sottoposti a una pressione competitiva molto forte. Se si unisce questa sentenza alla tecnologia, che rompe i recinti, e all’elemento finanziario, che agisce nella stessa direzione, il risultato che ne scaturisce è appunto quello di una pressione che graverà su tutti, su Mediaset come sugli altri operatori».
Un nuovo campo di gioco, quindi. Con nuove regole. Uno dei protagonisti di questo spazio inedito sarà la rete unica. E non è un caso che Mediaset, a poche ora dalla sentenza, abbia annusato l’aria del liberi tutti. La nota diramata a commento della decisione della Corte non lascia spazio a dubbi: «Se, al contrario di quanto prevede oggi la legge italiana, si aprissero possibilità di convergenza tra i leader delle tlc e dell’editoria televisiva, Mediaset che, in tutti questi anni è stata vincolata e penalizzata dal divieto, valuterà con il massimo interesse ogni nuova opportunità in materia di business tlc già a partire dai recenti sviluppi di sistema sulla rete unica nazionale in fibra». Insomma Mediaset non ci sta ad incassare il colpo e soprattutto ha capito che non può esimersi dall’entrare nella nuova agorà dove si giocherà l’imminente futuro della tv e delle tlc. Anche Pilati sottolinea che la rete unica, al netto degli ostacoli e dei punti interrogativi attuali, sarà «un protagonista del nuovo campo di gioco».
Il punto massimo fino a cui si può spingere l’evoluzione di questo nuovo campo da gioco è quello di un passaggio successivo alla concorrenza che si farà più spietata. Lo individua sempre Pilati, parlando di «una tendenza alla concentrazione». Ma su cosa poggiano queste dinamiche, quella cioè della maggiore competizione e poi della tendenza alla concentrazione, con pochi player che compreranno i pesci più piccoli o li faranno unire a loro? E qui entrano in gioco i giganti: Netflix, Amazon, Facebook. Colossi che hanno in mano contenuti inediti, di alta qualità, e dati. Sempre Pilati: «I contenuti diventano disponibili in quantità sempre maggiore, in modo sempre più facile, e a prezzi sempre più contenuti. Netflix e Amazon sono oramai diventati un’alternativa forte alla tv. Il fattore chiave ed essenziale è diventato la produzione e in questo senso Amazon e Netflix saranno avvantaggiati perché hanno risorse da investire sulla produzione in misura molto maggiore di quella che siamo abituati a conoscere».
È qui che si innesta il ragionamento sulla concentrazione: «Il business tv e quello delle telecomunicazioni tendono a convergere. Operatori come Sky, ad esempio, già oggi fanno un’offerta integrata tlc-tv. E questa dinamica sarà sempre più forte». Questo implica che tutti dovranno cambiare il proprio modello di business, integrando più modalità, per giocare nello stesso campo da gioco. C’è chi ha un vantaggio e potrà ottimizzarlo, chi invece dovrà giocare in recupero. Pesci grandi e pesci piccoli. I piccoli, tuttavia, possono contare sempre su un effetto resilienza. «La tv generalista non scompare», dice ancora Pilati. Ma da oggi in poi Mediaset dovrà giocare in campo nuovo. Basterà solo la tv generalista?