Marlene Dietrich: ritrovati i ritratti della vita al fronte

di Mara Gergolet (corriere.it, 4 aprile 2025)

Wilhelm Hollbach era sindaco di Francoforte da poche settimane, installato dagli americani, quando nel marzo del 1945 ricevette una telefonata: «Sono Marlene Dietrich. Forse mi conosce dal film L’angelo azzurro». Gli disse che aveva urgente bisogno di cipria, rossetti, insomma di tutto quel che serve a teatro.

Il sindaco si mise a girare per la sua città ridotta in macerie, finché non vide un’impiegata «truccata come prima della guerra»: la mise in contatto con Marlene Dietrich. Lo spettacolo — davanti a centinaia di GI americani, i soldati che erano venuti a liberare la sua patria — andò in scena. Marlene Dietrich arrivò in Germania nel novembre del 1944, al seguito delle truppe Usa: la prima città tedesca, Aquisgrana, era caduta da poco.

Un nuovo libro del giornalista culturale Reiner Burger, Marlene Dietrich an der Front, scavando nella Deutsche Kinemathek, ricostruisce quei mesi con dettagli e decine di foto mai viste. Fu l’americana Lin Mayberry, attrice comica, assegnata ad accompagnarla, a scattare gran parte di questo materiale. La prima immagine la ritrae a Solingen, davanti a un cartellone del teatro “Troops invited”, tra due soldati increduli: indossa un abito da sera di Elsa Schiaparelli, comprato a Parigi (la città del suo grande amore Jean Gabin, che si era arruolato con Charles De Gaulle).

Per mesi ha dormito in un sacco a pelo, a volte sotto tetti sfondati e tra i ratti, come scrive nelle lettere. Ha alternato magistralmente mimetiche, giacche Eisenhower e scarponi militari di giorno alle paillettes di sera. Si è esibita in decine e decine di concerti: «È l’unica cosa importante che ho fatto nella mia vita», avrebbe detto anni dopo. Come Marilyn Monroe in Vietnam: ma quella sarebbe stata una luccicante imitazione.

Dietrich era la più grande star del cinema classico: cresciuta a Berlino, dagli anni Trenta viveva in America. Goebbels le prometteva di tutto per riportarla in Germania, lei per spregio al nazismo nel 1939 rinunciò alla cittadinanza tedesca. E con Ernst Lubitsch e Billy Wilder aiutò gli ebrei a rifugiarsi negli Stati Uniti. Volle vedere Berlino liberata. Al generale Patton confidò di avere paura che se i tedeschi l’avessero catturata l’avrebbero trattata come una traditrice, rasandola a zero. Patton le regalò una piccola pistola: «Usala, nel caso servisse». Non fece mai pace con la Germania.

Quei tour tra i soldati furono l’inizio della sua seconda carriera, quando girava con Hitchcock o Orson Welles ma amava di più esibirsi cantando Lili Marleen, o Where have all the flowers gone, ancora diva a sett’anni. Morì a Parigi, in Rue de Montagne 12, prigioniera dei dolori, dell’alcol, dei farmaci e dei ricordi, rispondendo al telefono a Margareth (Thatcher) o Michail (Gorbaciov): lo racconta un bellissimo spettacolo, tra i più applauditi l’anno scorso a Berlino, messo in scena dal maestro veneziano Ezio Toffolutti — che lavorò con Brecht —, dove Marlene è interpretata da un uomo, Sven Ratzke.

Bisessuale, disciplinata, dominatrice, un angelo prepotente e inafferrabile per tutti, come nella sua canzone: «Chi starà sotto quel lampione / Con te, Lili Marleen? / Con te, Lili Marleen?». È tornata a casa solo da morta, sepolta in un cimitero a Schöneberg.

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