di Michele Monina (linkiesta.it, 21 giugno 2018)
Uno finisce quasi per provare sollievo. Sta lì che aspetta che questa cosa agghiacciante, degradante, annichilente succeda, e quando in effetti succede, ecco, uno tende a pensare che almeno adesso le cose sono chiare, sotto gli occhi di tutti. Che magari qualcuno potrebbe addirittura pensare di reagire, di ipotizzare una resistenza, un qualche tipo di contromossa.Ovviamente lo pensa, ma non succede un cazzo, perché la realtà è peggio di come uno se la immagina, molto peggio. Per cui, forse, uno finisce quasi per provare sollievo, certo, ma un sollievo rassegnato. Di chi si può sbattere le mani sulla fronte e dire: ma dove cazzo siamo andati a finire? Le streghe son tornate. I fascisti?, come stanno gridando tutti i quotidiani dell’establishment passato, dal Corriere a Repubblica passando per il Foglio di Ferrara (perché è ancora il Foglio di Ferrara, no?). No. Altra storia. Sono arrivati i fascisti da social, la propaganda urlata, le dichiarazioni molto più violente dei fatti. Qualcosa che punti alla pancia della nazione, e dove se no?, e che puntando alla pancia non deve necessariamente passare dal cervello, anche perché si dice che le teste di cazzo, in quanto teste di cazzo, non abbiano cervello, semmai un glande. Così sentiamo parlare di porti da chiudere, di zingari da censire, così, come se niente fosse. E niente è. Perché di porto se n’è chiuso uno, parzialmente, a beneficio di telecamera, mentre gli altri rimanevano aperti e operanti, ma guai a parlarne. Così sentiamo parlare di censire i rom, anche se poi purtroppo i rom italiani ce li dobbiamo tenere, ben sapendo che la Costituzione non permette una cosa del genere. La voce alta, la stessa voce che diceva “ruspe”, del resto, poco conta che a tante parole non seguano i fatti. Verrebbe da dire per fortuna. La gente, o la ggente che dir si voglia, sembra entusiasta di un leader forte ritrovato, perché questo siamo noi italiani, un Paese di destra. Lo siamo sempre stati, non sia mai che qualche anno di sinistra ci abbia illuso del contrario. La gente vuole i porti chiusi, vuole i rom catalogati e, possibilmente, cacciati a casa loro, vuole che quel “prima gli italiani” diventi qualcosa di più di uno slogan, un gesto concreto. Come se di colpo il problema dei poveri non fossero i ricchi, ma i più poveri. Questo succede, nel silenzio generale. Il silenzio di buona parte degli intellettuali, nonostante Salvini, sempre lui, li abbia un po’ presi di punta, si pensi al tweet su Erri De Luca, alla frase tirata fuori a cazzo da un discorso assai più complesso di Albinati. Per il resto poco altro. Perché non c’è reazione. Non c’è resistenza. Non c’è protesta. Né da parte del popolo, quella porzione di popolo che non può riconoscersi in quella pancia. Né da parte di chi, in genere, si fa carico di parlare per conto della gente, di esprimerne i sentimenti, vuoi per la capacità di trovare quelle parole che spesso alle persone comuni non arrivano, vuoi per quel talento, un talento che li fa amare dalla gente, appunto, nel comunicare concetti complessi in maniera semplice. Niente. Nessuno sembra voler prendere una posizione. Certo, c’è Giuseppe Genna, romanziere e saggista, che quotidianamente cerca di certificare la morte dell’idea di democrazia, con l’acume e la lingua alta che la comunità degli intellettuali da sempre gli riconosce. C’è Christian Raimo, che lo fa in maniera forse più pesante, come sua abitudine. Pochi altri. E sicuramente nessuno del mondo della musica. Cioè, pensiamoci, un tempo, guardiamo agli anni Settanta, erano i cantautori che si erano presi la briga di raccontare l’oggi e di stigmatizzarlo. Erano i cantautori che mettevano parole di protesta nelle bocche di chi partecipava ai cortei, così come di chi si limitava a guardare il mondo dalla finestra. Oggi tutti tacciono. O quasi. Sicuramente tacciono i tanti che, negli ultimi anni, ci hanno abituato alla loro presenza costante, al loro continuo parlare di argomenti sociali, volendo anche politici. Niente Jovanotti con i suoi pensieri positivi, i suoi sguardi attenti agli ultimi. Niente Fiorella Mannoia, forse in difficoltà visto il suo endorsement al Movimento 5 Stelle. Niente Daniele Silvestri, niente Roberto Vecchioni, niente di niente. Tutti tacciono. O se parlano non incide nel social, non fa eco nei social, non lascia un segno tangibile. Tutto è morto. A parlare, e torniamo all’incipit, sono due, tre. Peraltro anche sorprendenti, a loro modo. O meglio, non sorprende il tweet solidale con i migranti dell’Aquarius di Ermal Meta, che su un barcone ci è stato davvero, quando ormai una vita fa è arrivato in Italia. Sorprende invece, e molto, il post su Facebook di Francesca Michielin. Parole ponderate, equilibrate, di buon senso. Che però uno non si aspetterebbe proprio da lei, una cantante non esattamente a fuoco. Ma stavolta lucidissima, seppur senza scendere troppo in profondità. Una presa di posizione, la sua, che pensavo avrebbe suscitato entusiasmi, e che invece è passata in cavalleria; parlo del mondo dello spettacolo, che non solo non l’ha poi sostenuta nel momento in cui la Rete le si è rivoltata contro ma ha anzi applicato a lei una modalità piuttosto nota: muoia Sansone per conto suo. Diversa, e qui davvero torniamo all’incipit di questo pezzo, la questione Gemitaiz. È noto, il rapper romano autore dell’ultimo, fortunatissimo Davide, si è scagliato sui social contro Salvini, e lo ha fatto in maniera forse poco equilibrata. Ha detto, e come dargli torto, che il razzismo non può essere guardato con leggerezza. Che va stigmatizzato in maniera netta, senza se e senza ma. Ovviamente l’ha fatto usando un linguaggio da Gemitaiz, duro, diretto, volendo anche violento. Ha, infatti, augurato la morte a Salvini, cosa che lo ha, agli occhi dei benpensanti, fatto scivolare dalla parte del torto. La morte non si augura neanche a una testa di cazzo, questa la sottotraccia, così anche il sacrosanto discorso sul razzismo viene meno. Salvini, che sui social vive e che fa della propaganda la sua sola ragione di vita in questo momento, gli ha risposto per le rime, nel senso che lo ha perculato dandogli del fenomeno, e la cosa sembrava finita lì. Per quanto possa essere finita lì una faccenda che implichi condivisioni, viralizzazioni, migliaia di commenti anche molto infuocati. In realtà, questa la notizia che in qualche modo ci solleva, nel suo essere una notizia orrenda, orribile, avvilente, degradante, la faccenda non è affatto finita lì. Perché se è vero come è vero che Salvini, a parte ciarlare in ogni luogo, non sta sostanzialmente facendo nulla di rilevante, parlando di pugno di ferro laddove in realtà sta applicando i guanti di raso, è anche vero che qualcosa sta per fare. La cosa meno rivoluzionaria del mondo, quella che potrebbe addirittura far saltare il tavolo, visto che il povero Di Maio per provare a riprendersi un po’ di luce dei riflettori sta parlando di fare un censimento dei raccomandati, anche in Rai. Sì, Salvini sta per mettere mano al Cda della Rai, è cosa nota negli ambienti. In molti si vedono già col piede fuori da Corso Mazzini, si pensi a Salvini che come primo gesto dopo le elezioni scrive un tweet salutando, il calice in mano, Fazio, Saviano e compagnia bella. In molti cercano di salire improvvidamente e intempestivamente sul carro dei vincitori. L’idea, diciamocelo, che un Calderoli potrebbe diventare un direttore di rete quasi commuove, perché neanche le droghe più sperimentali indurrebbero a tanto, pari solo a un Sibilla sottosegretario dell’Interno o Crimi a capo dei Servizi Segreti. Si dice negli ambienti dello spettacolo, e di questo in genere mi occupo io, che a farsela letteralmente sotto sia Ferdinando Salzano, patron della monopolista Friends & Partners. Qui si parlava di qualche lieve conflitto di interessi, sapere che questa notizia potrebbe finire sotto la lente di ingrandimento dei pentastellati vogliosi di sangue deve avergli davvero fatto restringere lo sfintere. Non sarà mica un caso la corsa all’annuncio di Baglioni alla direzione artistica del prossimo Sanremo, si dice, sempre tra addetti ai lavori, canto del cigno di un’epoca in cui Salzano ha fatto davvero il bello ma soprattutto il cattivo tempo, si guardi all’ultima triste edizione dei Wind Awards o, peggio, a Pino è, uno spettacolo indegno di essere definito tale, ultimo sfregio a un grande artista come Pino Daniele. Tutto questo dovrebbe finire a breve, grazie a Dio e al governo, ma in attesa che sia il Cda Rai a cambiare, intanto è cambiata l’aria ed è cambiata perché si dice che Salvini abbia già messo mano al telefono. Una volta tanto non per twittare puttanate, ma per chiamare qualche dirigente di Corso Mazzini. Oggetto della chiamata, il concerto organizzato da Rai Radio 2 per la Festa della Musica. Concerto che ha, o meglio aveva, un piccolo problema di fondo, a essere headliner era tale Gemitaiz, cioè colui che ha augurato la morte a Salvini stesso. Fossimo nei Promessi sposi potremmo immaginarci Salvini dire: “Questo concerto non s’ha da fare”. Probabilmente, invece, avrà detto: “Ruspiamo Gemitaiz”. Nei fatti il concerto è saltato. E si dice che se mai se ne farà un altro, come indicato nel comunicato stampa diramato da Radio Rai 2, ovviamente non ripreso dai soliti pavidi, sarà senza la presenza del rapper romano. Prima epurazione incassata, quindi. Prima vittima del repulisti salviniano, Gemitaiz. Non si sa se tutto ciò sia una voce o un fatto, ma il solo pensiero che sia plausibile che a essere epurato sia stato Gemitaiz fa sanguinare gli occhi, come una qualsiasi Madonna di Civitavecchia. La prossima, a questo punto, ci auguriamo sia la Michielin. E non si leggano queste parole con ironia. Glielo auguriamo davvero, perché essere epurati dai fascisti è un merito, una coccarda da attaccare alla giacca, da esibire. Nel mentre, ovviamente, tutti gli altri zitti e mosca, visto mai che non li invitano a Sanremo, a questo o quel programma, o più semplicemente che si possa incappare nell’incazzatura della gente, quella gente che non compra i dischi, chiaro, ma è pur sempre ipotetico pubblico. Brecht, e mi scuso se non cito Bombolo o Alvaro Vitali, ma resto pur sempre un intellettuale, diceva: “Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi”. Probabilmente non aveva idea che un giorno qualcuno avrebbe gioito per avere come eroe Francesca Michielin o Gemitaiz, Dio ce li preservi.