di Maurizio Crippa (ilfoglio.it, 30 dicembre 2023)
Un giorno dei felici e commerciali anni Ottanta, all’Università, il prof del corso di Teoria dei media entrò nell’aula sventolando entusiasta una cassetta Vhs: la preview di una telenovela brasiliana che da lì a poco avrebbe trionfato sulla televisione privata. Serialità e pubblicità: così stava per crollare il pietrificato monopolio dei palinsesti di Stato.
Gli emuli di Eco la chiamavano “neotelevisione”, anche se in America esisteva dagli anni Quaranta. Gli apocalittici asserragliati nel fortino mentale e di spesa pubblica della Rai gemevano. Di lì a pochi anni venne Max D’Alema, che predicava ipocrita di sognare “un Paese normale”. Un Paese normale è quello in cui ognuno guarda le tivù che vuole, senza pensare che siano partiti, e in cui i partiti non considerano di proprietà la tivù di Stato e non combattono per decenni per chiudere quella privata.
Un piccolo passo verso un Paese normale (ma un grande passo per l’italianità) è stato compiuto ieri, quando l’Osservatorio Auditel ha diffuso i dati degli ascolti relativi a tutto il 2023 e ha certificato che, per la prima volta, Mediaset ha sorpassato “stabilmente il competitor pubblico su tutti gli italiani considerando l’anno pieno e tutti gli eventi”. Un risultato “storico” per il Biscione, mentre Rai ha abbozzato chiamando in causa qualche specifica sui conteggi. Che non cambia molto: Mediaset ha raggiunto il 37,7 per cento medio e Rai il 37.
E può essere che intanto il pubblico è mutato e in parte trasmigrato dal piccolo schermo; e può essere che la qualità delle reti generaliste si sia amalgamata (al ribasso) fino a diventare indifferente alla sensibilità del polpastrello sul telecomando. E può essere che la gestione meloniana-sovranista della Rai abbia fatto molti disastri – ma up to a point: i mostri sacri della Rai sono emigrati solo in autunno, invece Mediaset cresce da quattro anni persino sui device digitali – estrema difesa di chi continua a considerare le due reti come fossero due partiti.
Ma la notizia è davvero storica per almeno un altro motivo. Fa assai sorridere che la sinistra televisiva del partito unico Rai, che per trent’anni ha sognato davanti al monoscopio e le ha provate tutte per far chiudere Mediaset, da quando c’è Meloni vive come una nemesi (supponiamo non particolarmente gioiosa), il fatto che la Rai vada a fondo. Costretti, vero Rep?, a fare il tifo per i Berlusca’s perché la Rai non è più roba loro. Televisivamente parlando, siamo diventati finalmente un Paese normale. Come voleva D’Alema.