di Filippo Ceccarelli (repubblica.it/venerdi, 11 novembre 2022)
Al giorno d’oggi il contegno, specie dei potenti, è uno stato dell’animo così raro e inaspettato da suscitare una sensazione di eccesso se non addirittura un moto di allegra comicità. Nel tempo del totalitarismo pop, sopraffatta dal culto della vicinanza e dell’intimità, l’immagine postuma di Aldo Moro in doppiopetto e cravatta attorniato in spiaggia da bagnanti seminudi appare una visione illusoria e insieme una parodia.
Eppure, a osservare con pazienza e un filo di misericordia quella foto scattata nel 1971 sulla spiaggia di Maccarese, Moro conserva in fondo la stessa espressione interiore, la stessa rassegnata dignità che si nota nell’estrema Polaroid, quando appena sette anni dopo i brigatisti lo misero sotto il loro stendardo in camicia bianca, il colore liturgico della purezza della fede, e tutto ormai stava per consumarsi nel suo lungo viaggio dentro il potere – potere che Dio, e solo Dio, aveva concesso in prestito al suo partito crociato e a lui come persona. È plausibile che la parabola tracciata fra le due foto abbia colpito, più di qualsiasi parola, la sensibilità di Bellocchio, uno dei pochissimi artisti italiani alieni da effettacci comici – ma anche qui: chi l’ha detto che per vivere a fondo, come oggi ci è comandato dagli emoticon, sia indispensabile ridere fino alle lacrime?
Aldo Moro al massimo si concedeva uno scintillìo d’occhi e qualche prezioso sorriso a mezza bocca perché il comando a quei tempi si esprimeva per sottrazione e pretendeva che i suoi detentori fossero seri, solitari, sorvegliati, elusivi, solenni e, in caso di necessità, anche talmente monotoni da suscitare nel pubblico – ma guai allora a chiamarlo così – quella risorsa di strategico torpore rispetto al necessario mistero alla base di ogni sovranità. Eppure, e di nuovo, si avvertiva in Moro anche una tensione, una fuggevole inquietudine, una fertile divaricazione fra il contegno e il fuoco nascosto, la passione e i desideri che pure agitavano l’uomo.
A tanti anni dalla sua fine, oltre a Marco Bellocchio solo Marco Follini, e non per caso attraverso un saggio in forma di romanzo (Via Savoia: il labirinto di Aldo Moro, La nave di Teseo, 2022), è riuscito a cogliere quell’enigmatico doppio fondo. Per cui l’ultimo vero e originale ideologo della politica italiana era in realtà un tipo molto curioso e spiritoso, voracissimo consumatore di cinema, quasi sempre da solo e al primo spettacolo; inoltre molto cerimonioso, ipocondriaco e abbastanza pieno di fissazioni, la più singolare delle quali era il timore che gli cascassero i pantaloni per cui si metteva la cinghia, ma per maggior sicurezza anche un paio di bretelle. Presentarsi in mutande, e spesso non solo in senso metaforico, è invece oggi la scorciatoia più rapida che i potenti utilizzano per accorciare le distanze – anche se loro per primi sanno che la lontananza, sai, è come il vento.