di Francesca Venturi (agi.it, 3 giugno 2020)
Lo sport americano, che conta un gran numero di atleti neri, si espone contro il razzismo, ma non tutte le discipline lo fanno allo stesso modo. Se il basket si è sempre schierato nelle questioni sociali, altri sport come l’hockey, dove la presenza di atleti afroamericani è meno massiccia, si sono espressi con maggiore prudenza sul caso dell’omicidio di George Floyd e le conseguenti proteste che durano ormai da una settimana.
Fra le star dell’Nba hanno fatto sentire la loro voce LeBron James e la leggenda Michael Jordan, che in altri casi era stato refrattario all’impegno, ma anche il capo dell’Nba Adam Silver, e molti allenatori, considerando fra i loro doveri di “formatori” quello di agire all’interno delle comunità. Con l’eccezione dei New York Knicks, il cui proprietario James Dolan ha sottolineato di non sentirsi «più qualificato di chiunque altro a dare pareri su questioni sociali».
Il coach dei San Antonio Spurs Gregg Popovich ha attaccato con parole offensive direttamente il presidente Donald Trump, definendolo “disturbato”. Anche altre Leghe, come quelle del baseball (Mlb) e del football americano (Nfl), hanno espresso indignazione sui fatti. Nel football il tema è particolarmente sentito perché il 70% dei giocatori è nero, ma solo 3 allenatori su 32 squadre vengono dalle minoranze. L’ex star dei San Francisco 49ers Colin Kaepernick è stato escluso da quando, nel 2016, si inginocchiò durante l’inno americano contro le violenze della polizia. Dopo che Donald Trump lo ha pesantemente criticato per questo, nessuna squadra lo ha più chiamato.
Quanto all’hockey su ghiaccio, gli atleti sono in maggioranza bianchi, ma molti singoli giocatori si sono espressi, mentre le associazioni sono state meno esplicite. La Federazione americana di calcio prevede che gli atleti restino in piedi durante l’inno, stigmatizzando di fatto la scelta di alcuni atleti di posare un ginocchio a terra. La Federazione dell’atletica ha preso posizione chiara illustrando il suo messaggio con l’immagine degli americani Tommy Smith e John Carlos con il pugno alzato sul podio ai Giochi olimpici di Città del Messico nel 1968. Lo stesso gesto ripetuto l’anno scorso dalla lanciatrice di martello Gwen Berry ai Giochi panamericani. Ma si tratta di gesti “militanti” che il Comitato Olimpico internazionale non permette: ogni manifestazione politica è stata vietata alle Olimpiadi di Tokyo, che non si terranno fino al 2021.