di Maurizio Crippa (ilfoglio.it, 21 giugno 2019)
Tante grazie a Vittorio Sgarbi che ha pittato da par suo Tomaso Montanari, apostrofandolo di “critico adiposo”. Meglio di un Guido Reni, ma parce sepulto. L’attualità politica è carne viva, anzi ciccia furiosa, e di quello tocca occuparsi in questa fase della vita nazionale in cui la mutanda, che un tempo sventolava fiera come simbolo di appartenenza politica e persino di disponibilità correntizia, ma in ogni caso sincera e dignitosa, è tornata sul palcoscenico dell’esibizione.Ma in modo osceno, narcisista, straccione. Insomma dopo i platonici dialoghi di Conte, che pareva più in mutande del suo dirimpettaio, toccano le foto di Giggino il pauperista che si sottrae alla canicola in Sardegna, esibendo alla photo opportunity la braghetta blu, ma soprattutto un adipe da finto magro, che ha francamente deluso molti e molte. E poi le nuove (lui è un habitué) di Salvini che innaffia in mutanda verdolina di tragica aderenza: ma anche qui l’elemento scultoreo della postura si perde, annegato nell’adipe. E niente, mica sono la tartaruga di CR7, io, per poter parlare. Ma del senso politico sì, possiamo parlare. Ed è qui: sarà anche vero che tutto questo esibirsi in mutande dovrebbe produrre – si suppone, almeno – un’adorazione per la forza maschia e genuina della politica, e persino invidia per una perentorietà che le élite d’antan non avevano. Ma se questo è lo scopo, davvero è un buco nell’acqua. Messi in mutande, sono peggio di quel che appaiono da vestiti. Con un che di sordido, più che flaccido. No, l’invidia (politica) dell’adipe non ci avrà.