di Jay Heinrichs* (linkiesta.it, 18 luglio 2023)
Coloro che ritengono che la grande oratoria sia morta avrebbero dovuto assistere, il 27 luglio 2004, al discorso di un uomo che ha letteralmente cambiato il corso della storia. «Barack chi?» si chiesero tutti quando il candidato senatore con quello strano nome salì sul palco della convention del Partito democratico per tenere il discorso di apertura. Mentre lui salutava il pubblico, i giornalisti televisivi cominciarono a leggere gli appunti: senatore dell’Illinois per tre mandati, primo afroamericano presidente della “Harvard Law Review”, nel 1995 autore del libro I sogni di mio padre.
Nel 2000 si era candidato alla Camera dei rappresentanti: non solo non era stato eletto, ma non aveva neppure ottenuto un pass VIP per la convention di quell’anno. Poco tempo prima, aveva vinto le primarie del Partito democratico per un seggio al Senato: l’avversario repubblicano era stato travolto da uno scandalo sessuale e Barack Obama era diventato, all’improvviso, un astro nascente.
Un tizio semisconosciuto che, grazie a un discorso, è arrivato direttamente alla presidenza ha un unico precedente nel 1860, quando un avvocato di provincia dell’Illinois, un certo Abramo Lincoln, affascinò un pubblico d’élite a New York City parlando alla Cooper Union. Lincoln dovette convincere un gruppo abbastanza sparuto di scettici di avere intelligenza ed esperienza sufficienti per fare il presidente. Obama, al contrario, dovette dimostrare di essere un divo della politica. Entrambi ci sono riusciti. Il discorso di Obama fece schizzare il suo libro tra i bestseller e gli guadagnò migliaia di ammiratori adoranti. E da un giorno all’altro l’uomo nuovo della politica divenne il candidato presidenziale.
Il suo successivo discorso alla convention sarà quello del 2008, quando accetterà la nomination del partito. All’epoca non mi ero peritato di ascoltare il primo discorso di Obama. Chi aveva voglia di sorbirsi la verbosa orazione di un Signor Nessuno di fronte a un pubblico urlante di democratici con indosso degli sciocchi cappellini? Errore mio. In quell’occasione, infatti, Obama dimostrò la potenza della retorica, in questo caso quella della varietà oratoria di vecchio stampo.
[…] Sì, Aristotele voleva che i discorsi politici fossero deliberativi: affrontare le scelte, usare il tempo futuro, indicare al pubblico ciò che va a suo vantaggio. Gran parte del suo libro parla di deliberazione, di argomentazioni per fare una scelta. Ma in un discorso che dovrebbe unire le persone bisogna diventare dimostrativi. Imparando la retorica dimostrativa non solo saprete da cosa guardarvi – o anche che cosa criticare – in un discorso, ma diventerete oratori migliori.
*da: Jay Heinrichs, Mi hai convinto. Come Aristotele, Homer Simpson e Barack Obama possono insegnarti ad avere (sempre) ragione, Mondadori, Milano 2023