(ilpost.it, 10 febbraio 2023)
Nessun film indiano ha mai vinto un Oscar e raramente alcuni sono stati candidati, ma ciononostante a Bollywood – come viene storicamente definita l’industria cinematografica indiana – e anche a Hollywood è stato accolto con sorpresa il fatto che RRR, del regista S.S. Rajamouli, abbia ricevuto una sola nomination alla cerimonia di quest’anno, e per la miglior canzone. RRR, che in Italia è disponibile su Netflix, è stato infatti uno dei più grossi casi cinematografici dell’anno: il suo successo in India era atteso, ma quello nel resto del mondo, a partire dagli Stati Uniti, no.
Dei 150 milioni di dollari incassati, 14 sono arrivati dalla distribuzione americana, avvenuta in due fasi diverse: è un risultato che negli Stati Uniti può essere paragonato all’incasso di un weekend del film di maggior successo, e che è quasi il doppio di quello che solitamente incassano i maggiori film di Bollywood. Di norma, infatti, vengono visti solo da un pubblico di indiani residenti negli Stati Uniti. Addirittura il campione d’incassi della scorsa stagione indiana, Pushpa – The Rise: Part 1, negli Stati Uniti aveva incassato solo 1,35 milioni. Il risultato di RRR è ancora più importante se si considera che al momento della seconda uscita in sala, quella che ne ha sancito il successo, il film era già presente su Netflix (dov’è stato tra i primi 10 titoli mondiali per 14 settimane di fila). Aiutato dal successo in sala, RRR ha vinto molti premi statunitensi tra cui un Golden Globe, finendo per essere notato e amato anche dall’industria hollywoodiana, e questo potrebbe cambiare qualche equilibrio.
Si tratta del dodicesimo film di Rajamouli, il terzo da quando è diventato molto popolare in India. Racconta la storia immaginaria di due eroi della resistenza indiana ai coloni inglesi negli anni Venti. Uno proviene dalla giungla ed è nella capitale Delhi per liberare una ragazza del suo villaggio, prelevata dagli inglesi contro la sua volontà; l’altro è un integerrimo poliziotto. Come spesso capita nelle trame del cinema asiatico più popolare, l’intreccio è una questione di identità e svelamenti. Al poliziotto viene ordinato di trovare e fermare il ribelle, i due però si sono incontrati per caso e hanno stretto una solida amicizia senza sapere di essere nemici. Lungo le 3 ore del film i protagonisti passano dall’essere alleati, al combattersi e alla fine ad aiutarsi, uniti contro il comune nemico inglese. Diversamente dal cinema occidentale, tuttavia, gli snodi narrativi più importanti non avvengono nelle scene di dialoghi, ma in quelle d’azione o di ballo.
La scena in cui viene cantata e ballata Naatu Naatu, la canzone che ha vinto il Golden Globe ed è nominata all’Oscar, è un buon esempio di come funzioni il film: i protagonisti si distinguono per un’iperbolica forza fisica e al tempo stesso per un ardore e una grazia fuori dal comune, e lo dimostrano ballando passi atleticamente probanti con il sorriso e un gran senso del ritmo, mentre i rivali inglesi arrancano. Com’è tipico nel cinema bollywoodiano, RRR è composto da sequenze d’azione di un livello di spettacolarità molto superiore a quello dei film americani cui siamo abituati, da grandi sequenze musicali di ballo e da caratterizzazioni che dal punto di vista occidentale possono apparire grossolane e ingenue nei sentimenti e nelle intenzioni.
Nel complesso nei film indiani commerciali, infatti, l’attenzione al realismo è molto minore rispetto al cinema occidentale: gli si preferisce la stilizzazione, cioè la rappresentazione del mondo non per com’è, ma filtrato attraverso scelte stilistiche forti. Per fare un esempio: i personaggi non si muovono come nella vita di tutti i giorni, ma con portamenti caratterizzanti e a volte macchiettistici. Le virtù o i difetti dei personaggi sono esagerati e a volte anche esasperati, così da essere più in evidenza. Rajamouli si è formato con il cinema d’azione americano testosteronico degli anni Ottanta, con eroi interpretati da Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger: e il suo cinema assomiglia a una versione barocca da un lato, e più raffinata e tecnica dall’altro, di quei film.
Anche le scene d’azione più spettacolari di RRR seguono lo stesso approccio. Gli eroi, insieme o separati, compiono qualcosa di molto atletico e impressionante per ragioni morali o sentimentali, rappresentando valori sia in contrasto con quelli degli inglesi, sia rappresentativi di quelli più importanti nella società indiana, come l’attaccamento alla famiglia, il senso del dovere o l’esaltazione dei sentimenti più semplici. L’originalità di Rajamouli sta nella capacità di fare tutto ciò inventando e creando qualcosa al tempo stesso sopra le righe e piuttosto raffinato. Nella prima sequenza del film uno dei due protagonisti, il poliziotto, si fa strada da solo in una folla di manifestanti tra scelte di prospettiva originali e grandi composizioni fotografiche. Quando invece i due protagonisti si incontrano per la prima volta lo fanno salvando un bambino da un incidente in una sequenza di azioni che sembra quasi una parte musicale, e che funziona prima di tutto visivamente, per inventiva e capacità di generare immagini patriottiche, umane e spettacolari al tempo stesso.
Quello che a differenza di molti altri successi di Bollywood ha consentito a RRR di trovare un pubblico al di fuori dell’India è la vicinanza ai canoni del cinema occidentale quanto a chiarezza narrativa, ritmo e linearità. Prima di questo film Rajamouli aveva diretto Baahubali e Baahubali 2, che erano stati i film di maggiore incasso della storia dell’India, ma che hanno a che fare con la mitologia locale e quindi, nonostante possiedano il medesimo impatto visivo di RRR, sono più difficili da comprendere per il pubblico occidentale, sia per gli intrecci sia per le caratteristiche mitiche o semi-mitiche dei personaggi. Ma anche solo per la struttura: Baahubali infatti è inizialmente ambientato nel presente, ma molto presto comincia un flashback che occupa tutto il resto del film fino alla fine, senza tornare nel presente. Il suo sequel, uscito due anni dopo, continua dal flashback e solo alla fine arriva nuovamente nel presente. Tutto con protagonisti dallo stesso patronimico che sono padri, figli e nonni, in certi casi interpretati dai medesimi attori.
La difficoltà per il pubblico occidentale di comprendere elementi sostanziali dei film indiani ha impedito a lungo al cinema di Bollywood di uscire dai suoi confini, nonostante sia un’industria grande quanto quella americana, da anni la prima al mondo per numero di film prodotti. Nell’ultimo decennio è stata quasi sempre la terza per incasso in sala, dopo Stati Uniti e Cina. Quando i film indiani vengono distribuiti negli altri Paesi solitamente è per indiani espatriati, che nel 2021 costituivano il 12% del pubblico di Bollywood. I film che più di frequente escono dall’India quindi non sono quelli popolari, ma quelli d’autore che si vedono ai festival, girati, pensati e immaginati in modi più internazionali.
Nel 2017 Baahubali 2 negli Stati Uniti aveva incassato anche di più di RRR (20 milioni di dollari), ma senza la concorrenza contemporanea di Netflix e senza conquistare anche il pubblico occidentale. È stata la casa di distribuzione americana di RRR, Variance Films, a trovare la strategia migliore per valorizzare il film. Dopo un primo passaggio in sala senza clamore ha intuito che c’era ancora del potenziale e ha deciso di puntare su un tour del film. La seconda permanenza nelle sale di RRR ha previsto 1.200 schermi per 10 settimane ed è stata accompagnata spesso dallo stesso Rajamouli in proiezioni che i giornali americani hanno raccontato come molto partecipate, con il pubblico occidentale coinvolto dallo spettacolo e dalle canzoni.
Anche a Hollywood, cioè al Chinese Theatre di Los Angeles, la proiezione di RRR è stata un successo popolare più che “intellettuale”. Anche per questa ragione, e per via di una campagna Oscar imponente, in molti davano per scontato che sarebbe stato uno dei 10 film nominati per il premio al miglior film, cosa che non è accaduta. L’India ha deciso di non eleggere il film di Rajamouli a proprio rappresentante per la categoria del miglior film internazionale, preferendogli Last Film Show. Non è la prima volta che l’industria indiana non candida film che per blasone, riconoscimenti e successo internazionale sembrerebbero i più adatti. Era capitato nel 2013 con Lunchbox (passato a Cannes e molto americano nella struttura) e poi di nuovo con The Disciple nel 2020 (passato a Venezia e co-prodotto dal regista messicano Alfonso Cuaron). In entrambi i casi, come per quest’anno, i film candidati a rappresentare l’India non sono arrivati alla nomination.
È la seconda volta in pochi anni, dopo Parasite nel 2019, che un film asiatico gode di un vero successo americano, questa volta senza gli Oscar ma con un livello di approvazione tra addetti ai lavori simile. È girato molto un video del regista James Cameron che a una festa promozionale si complimenta con Rajamouli, dilungandosi a lungo nella spiegazione di tutto quello che ha amato del film e invitandolo a contattarlo qualora volesse lavorare ad Hollywood. Al momento un sequel di RRR è già previsto, anche se non sarà il prossimo film di Rajamouli: agli osservatori sembra scontato che ci sarà più di un’offerta di lavoro per lui negli Stati Uniti. Il suo impatto sul cinema americano potrebbe essere simile a quello di John Woo negli anni Novanta, un altro regista asiatico (di Hong Kong) diventato famoso in Occidente per la capacità di creare film più spettacolari di quelli americani e per un periodo assorbito da Hollywood per rinnovare i suoi canoni espressivi. Nonostante i complimenti e le analisi del fenomeno, Rajamouli continua a dirsi perplesso di fronte al successo internazionale, non capendone le cause: «sto cercando di capire perché gli occidentali amino così tanto il film. Da quanto ho letto sui social media è per via di un misto di sfacciato supereroismo e per gli inattesi scarti tra le parti di azione, romanticismo, commedia, ballo e di nuovo azione. Ma è come raccontiamo sempre le storie in India. In ogni film c’è qualcosa per ogni tipo di spettatore».
Al di là degli incassi, RRR è stato un caso anche in India. È un film in Telugu, una lingua parlata nel Sud del Paese (quindi teoricamente di Tollywood e non di Bollywood, anche se, per semplificare, al di fuori dell’India tutto il cinema indiano è identificato con Bollywood), ed è raro che film che non sono parlati nel più diffuso Hindi abbiano un tale successo. Poco meno della metà dell’incasso complessivo dei cinema indiani viene infatti dai film in Hindi, seguiti da quelli in Telugu e poi in Tamil. Molto meno invece viene dalle tante altre lingue in cui sono girati i film indiani (Bengalese, Punjabi, Arathi, Gujarathi, Malayalam, Kannada e altre). È stato proprio Rajamouli, che è solito girare in Telugu, a promuovere la pratica prima poco frequente di doppiare i film nelle varie lingue dell’India, non solo in Hindi. La versione che è circolata a livello internazionale e che si trova su Netflix non è quella originale ma quella doppiata in Hindi, e lo si nota dal fatto che il labiale non corrisponde ai suoni delle parole.
Un altro elemento considerato clamoroso in India è il fatto che i protagonisti siano due star molto famose del cinema telugu, Jr. NTR e Ram Charan, appartenenti a dinastie rivali di star del cinema indiano – dove alcune famiglie sono nel settore da decenni e hanno sviluppato sistemi di potere consolidati e inimicizie verso i concorrenti – e che quindi non avevano mai recitato nello stesso film. Per renderlo possibile Rajamouli ha raccontato di averli invitati a casa sua senza che l’uno sapesse della presenza dell’altro per averli nella stessa stanza nel momento in cui gli ha proposto di lavorare insieme.
Nonostante un generale consenso e un grande successo di pubblico, non pochi in India hanno criticato il film, includendolo in una nuova tendenza del cinema indiano che ammicca al nazionalismo di destra, in linea con i movimenti politici riconducibili al presidente Narendra Modi che stanno rivedendo la rilevanza di figure storiche come Gandhi o Jawaharlal Nehru. In RRR entrambi questi personaggi noti sono stranamente assenti da una carrellata finale di veri volti e veri nomi dell’indipendenza indiana. Non è comunque raro che i grandi film indiani raccontino storie tradizionali e siano pieni di nazionalismo. Non lo è nemmeno che, come in RRR, stranieri o ancora di più colonialisti siano dipinti nei modi in cui nei film occidentali sono rappresentati i nazisti.
La particolarità dei film di Rajamouli, oltre che dallo stile del regista, viene anche dalla sua storia personale. È figlio d’arte (come molti professionisti del cinema indiano): suo padre K.V. Vijayendra Prasad è stato uno sceneggiatore e ancora scrive i film del figlio, che si è formato lavorando come suo assistente e poi è passato alla regia iniziando dalle soap opera. Chi ha lavorato con lui all’epoca racconta che già in quelle produzioni sentimentali per la tv a basso budget aveva lo stesso desiderio di creare qualcosa di grande e ambizioso. Negli anni poi ha creato una troupe intorno a sé che comprende molti dei suoi familiari. Oltre al padre sceneggiatore ci sono la moglie Rama Rajamouli, che si occupa dei costumi, e il cugino M.M. Keeravani, che compone le musiche ed è quindi la persona nominata all’Oscar quest’anno.