di Fulvio Abbate (huffingtonpost.it, 25 settembre 2021)
Avremo Fedez? Il must musicale che illumina un’improvvisa sensazione d’avvento, forse una metafora, sebbene giunga da una omologa femminile ghepardata di tatuaggi del nostro oggetto d’attenzione incredibilmente politica, dice esattamente: “Cerco un uomo vero, cerco un pistolero”. Shampoo sonoro da jeanseria. A Milano, anzi, a “Nolo”, oltre i bastioni di Orione di piazzale Loreto, acronimo di una progressiva mutazione urbanistica. Gentrificazione, “il fenomeno per cui in un quartiere povero arrivano nuovi abitanti ricchi, cacciando quelli che c’erano prima” (cit.). I ragazzi che ho intorno raccontano che, nei prossimi giorni, da viale Monza, come già le formazioni partigiane nell’aprile del 1945, giungeranno invece, per una kermesse privata che annunciano imperdibile, altri amici con un bottino di carni destinate alla brace.
Sarà una memorabile grigliata, un evento per Nolo. Ragionando di costate e altro, ecco che dal fumo del discorso, come spettro, sopraggiunge il volto di Fedez. Il tipo che ha appena vantato la stroboscopica grigliata, residente, appunto, nel quartiere redento dall’iniziale vocazione operaia, ha però come un sussulto: “… oh, amici, mi sa che Fedez sta davvero pensando di diventare il nuovo Berlusconi!”. Il ragazzo veggente presagisce la “discesa in campo” del rapper. Accompagnato dal proposito, esattamente come quell’altro, di trangugiare per il bene comune “l’amaro calice della politica”. Forse non esordirà in blazer, non dirà “l’Italia è il paese che amo”, non avrà coppe e gagliardetti alle sue spalle, tuttavia siamo sempre lì. Nel caso accadesse, Fedez troverebbe molti consensi, da aggiungere allo stand appendiabiti da settimana milanese della moda che si trascina appresso. Insieme alla complice, stregante, moglie. Chiara Ferragni, apprezzata biondezza. Senza contare il corredo dei figli griffati fin dalle amniocentesi. Impresa dell’immateriale glamour destinata alla quotazione in Borsa.
Nel pensiero medio delle recenti generazioni (magari non proprio le ultimissime, vaccinate invece dal disincanto rispetto alla globalizzazione) il capitale delle idee va ritenuto irrilevante, conta semmai il capitale materiale. Da un semplice blog di gadget costruire post-plusvalore, diorami personali del lusso, invidia sociale, uomini e donne come must. Certo, per farcela occorrono faccia e tatuaggi tribali giusti. Innegabile che Fedez e moglie, dal Nulla, in senso filosofico non sartriano, siano riusciti a creare un catalogo di merci poco essenziali di contorno. Rivolto a un contesto antropologico in molti casi segnato da candore acefalo. Berlusconi, l’apripista, negli anni, mediaticamente, ha insegnato proprio così. Perfino chi adesso scrive questa nota, perdonate l’autocitazione, ha verificato quanto l’insignificanza verbale del Grande Fratello Vip ha il potere di sovrastare ogni riflessione dialettica, la memoria storica spianata dalle artiglierie alzo zero della banalità. Per amore di verità, va detto pure che, rispetto all’estetica iniziale da “lucidalabbra e buconasale” (cit. Corrado Guzzanti), Fedez e Ferragni hanno manifestato ultimamente un’apprezzabile attitudine “civile” in difesa del Ddl Zan e dei diritti Lgbt+. Parole che gli ossi duri della valutazione epocale riterrebbero comunque sovrastrutturali, ancora una volta schiuma.
Se finora, con espressione propria del dibattito filosofico spicciolo, abbiamo evidenziato il trionfo del “pensiero debole” sulla totalità dell’esistente, con Fedez, lì nel Palazzo, saremmo nel pensiero spray. Da anni ormai, molto apprezzato giornalismo sui nodi della politica e della società (Selvaggia Lucarelli, Andrea Scanzi, Osho, Zoro…) è debitore al cabaret, ulteriori calchi di Striscia la Notizia. È in questa secca subculturale che occorre inquadrare la visione perturbante del giovane residente di Milano-Nolo che, in pieno sogno della grigliata, intuisce Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, come ulteriore “Unto del Signore”. Figura ulteriore di fronte cui impallidirebbero i Mandrake post-ideologici ormai scaduti finora raccolti da Matteo Renzi al volenteroso, stentato, Giuseppe Conte. Fedez aderisce infatti alla Weltanschauung di chi attende d’assistere alla decimazione dei “baby-boomer”, così da cancellare ogni picco di complessità. Non è un caso che nei social, tra le risposte più immediate e sicure per tacitare l’altro, il dissimile per storia pregressa, giunga, immancabile, l’“ok, boomer!”; antidoto, peraltro, di matrice progressista importato dai Dem degli Usa.
Dopo la trasfigurazione di Beppe Grillo da comico a suggeritore-statista, premiato da successo plebiscitario, tutte le eventualità appaiono possibili. Il probabile arrivo di Fedez è in linea dinastica di successione con ciò che abbiamo visto finora. Visione che surclassa il rogo finale de Il caimano: ogni Nanni Moretti, sinistra con prenotazione obbligatoria, va ora immaginato come la diva del muto al mattino dell’avvento del sonoro. Federico, con passo da peluche, si porta intanto avanti con il lavoro, ampliando l’arco delle denunce, prendendo spunto dallo stallo dei cantieri imposto dalla pandemia: “La vostra propaganda non può venire prima delle persone. Quando parliamo di concerti e spettacoli, parliamo di più di 200mila lavoratori falcidiati da due anni di immobilità quasi totale”, scrive commentando Conte a Cosenza. Chissà che il giorno della grigliata nei loft di Milano-Nolo non possa essere anche quello di un nuovo, inenarrabile “predellino”.