di Nicoletta Verna (lastampa.it, 19 maggio 2024)
Nell’estate del 1989, dopo una turbolenta (e inconclusa) trattativa per passare dal Napoli all’Olympique Marsiglia, Diego Armando Maradona scomparve nel nulla. Passò le vacanze sulle piste da sci in Sudamerica, ma nel giorno previsto per il rientro non rientrò, e neanche il giorno dopo. Il fatto infiammò il Paese. I giornali titolarono “Chi l’ha visto?” e l’opinione pubblica, non solo a Napoli, si spaccò.
Una fazione tuonò che era una condotta irrispettosa verso club e tifosi, un’altra sostenne che la necessità di staccare ogni tanto era, in fin dei conti, comprensibile. Tutti, però, erano d’accordo su un fatto: a Napoli Maradona era Dio. E il comportamento di Dio è spesso imperscrutabile. La scomparsa improvvisa di Camila Giorgi, oggi, ha tratti del tutto diversi. Genera un sentimento più complesso, uno sdegno che ha certo a che fare con l’aspetto morale, con il fatto che forse è fuggita per evadere il fisco, ma non si esaurisce in questo. Sottende tratti più compositi, peculiari della società e del sistema dei media contemporanei. Rendendo l’evento, per certi versi, emblematico.
Giorgi ricalca a tutti gli effetti l’archetipo della star contemporanea: sportiva di successo, imprenditrice, modella, influencer con centinaia di migliaia di follower. Iper-visibile, iper-esposta, iper-vicina. Come sappiamo dagli stardom studies, storicamente la star possiede una doppia natura. Da una parte è figura intoccabile di un nuovo Olimpo; dall’altra, nella cultura di massa, è pura merce, oggetto, simbolo alla portata di tutti. Progressivamente, nei decenni, il primo aspetto si è appiattito sul secondo: se Maradona incarnava esattamente questa dualità, il divo dei social è sempre meno idolatrato come semi-dio e tanto più amato quanto più riesce ad apparire prossimo, affine, primus inter pares. Un amico mediale, per usare la definizione del sociologo Joshua Meyrowitz.
I nuovi media illudono di azzerare le distanze: la quotidianità prevale sull’eccezionalità, l’espressione sull’informazione, i messaggi personali e concreti su quelli astratti e impersonali, la condivisione (termine chiave) sull’unicità. Mentre i media del passato, in primis il cinema, causavano nello spettatore identificazione ma mai credulità, i social sono programmati per dire al pubblico che quello cui assistono è vero. E difatti, in una delle sue poche dichiarazioni dopo la fuga, Giorgi afferma: “Se volete sapere la verità, seguitemi su Instagram”.
In questo effetto di iper-realismo, Camila Giorgi esiste poiché presente, dunque viva. La dimensione pubblica è l’unica possibile: è la realtà. Il fatto che sussista, a monte, una dimensione completamente privata, dove lei è invisibile, dove lei addirittura si rifugia e scompare, ci appare incomprensibile perché attiva un cortocircuito: l’equilibrio fra pubblico/fittizio e privato/reale che per secoli ha regolato le interazioni sociali non esiste più, e dunque sparire, per la star (ma sempre più anche per chiunque di noi), non è possibile. Non solo perché la Rete ne conserva tracce crescenti e incontrollabili (l’“inconscio digitale” di Derrick de Kerckhove), ma anche per un motivo psicologicamente più sottile: perché nello spazio virtuale, il nuovo spazio che oggi siamo chiamati a occupare oltre a quello fisico e psichico, la sparizione è percepita come tradimento. Non il divo Maradona che lascia gli adepti del suo culto ad attenderlo, ma una confidente che ha stretto il patto ferreo di condividere con gli amici ogni più piccolo pezzetto di sé, e poi l’ha infranto.
It must be nice to disappear / to have a vanishing act, cantava Lou Reed in uno dei suoi pezzi più celebri e struggenti. Il vanishing act è il trucco con cui spariscono gli illusionisti: un gesto immediato, improvviso, sorprendente. Talvolta irreversibile. Un gesto di salvezza, anche. Il brano recita: “Dev’essere bello scomparire, fare una magia e svanire. Guardare sempre avanti, e non guardarsi mai indietro”. Sparire, talvolta, è anche un gesto di conservazione, di salvezza, di progresso. Un atto tanto più necessario quanto più siamo sovraesposti.
Ma il riappropriarsi della dimensione privata è vissuto sempre più come stigma, e questo porta alla paradossale conseguenza di un maggiore isolamento: abbandonare la scena equivale alla solitudine, perché dietro la scena non c’è più nulla. Equivale, persino, alla morte simbolica, perché non sappiamo più concepire la dimensione del non svelato, dell’inaccessibile. La dilagante volontà di penetrare qualunque recesso dell’altrui vita intima non è semplice voyerismo (e infatti non viene percepita come furtiva, né come colpevole): è piuttosto una nuova e radicata percezione che vede la visibilità come valore e il ghosting, non a caso termine feticcio della gen Z, come deplorevole. E forse proprio questo ci sembra intollerabile del vanishing act di Giorgi. L’evasione non fiscale, ma sociale.