L’exploit del Partito della Birra alle elezioni presidenziali in Austria

di Alessandro Vinci (corriere.it, 10 ottobre 2022)

Alcuni sondaggi gli accordavano non più del 5% delle preferenze. Alla fine ha raggiunto addirittura l’8,4%. Se la rielezione alla presidenza austriaca di Alexander Van der Bellen veniva data per scontata, all’indomani delle consultazioni nel Paese d’Oltralpe a sorprendere è il risultato dell’outsider Dominik Wlazny, in arte Marco Pogo. Il motivo è presto detto: si tratta del leader del Partito della Birra, fondato nel 2015 come semplice «progetto satirico» né di destra né di sinistra.

Ph. Max Hammel

Semmai di centro, proprio come «la spina della birra che sta al centro di ogni bar», secondo quanto goliardicamente dichiarato al tempo dallo stesso Wlazny. Laureato in Medicina, 35 anni (età minima per concorrere alle presidenziali), dopo aver raggiunto il successo come frontman del gruppo punk rock dei Turbobier, Dominik Wlazny ha deciso di riporre il camice nell’armadio per dedicarsi alla musica a tempo pieno. Ad accumulare più consensi di lui, oltre naturalmente al già citato Van der Bellen (56,2 %), soltanto il nazional-conservatore Walter Rosenkranz (17,9%), esponente di spicco dell’Fpö. Con il suo sorprendente terzo posto, l’artista si è fatto così beffe degli altri quattro candidati alla Hofburg Tassilo Wallentin (8,3%), Gerald Grosz (5,5%), Michael Brunner (2,1%) e Heinrich Staudinger (1,5%). Non solo: nella Capitale, Vienna, ha superato perfino Rosenkranz, classificandosi quindi alle spalle del solo Van der Bellen.

Un risultato di tutto rispetto, a maggior ragione se si considera che il Partito della Birra era stato essenzialmente concepito come mero veicolo promozionale per il singolo Die Bierpartei, tra i brani inclusi nell’album di debutto dei Turbobier Irokesentango. Non può dunque stupire la presenza, all’interno del suo programma, di una serie di proposte di natura spiccatamente umoristica: dalla costruzione di una fontana di birra in centro a Vienna all’abolizione delle tasse sulle bevande per i bar e i ristoranti, fino alla fornitura mensile di un barile di birra a tutte le famiglie del Paese e al sostegno ai cittadini «che hanno meno talento nel bere». Il tutto all’insegna della massima libertà di espressione (in particolare «nella libera scelta della varietà delle bionde») e dello spassoso slogan «Vivi e lascia vivere (tranne i bevitori di Radler)», ovvero il mix tra birra e limonata considerato dai militanti del partito «il male più assoluto».

A onor di cronaca, nella «birrocrazia» teorizzata dal Bierpartei non c’è solo spazio per il luppolo. Tra le altre cose, infatti, il movimento vorrebbe introdurre test attitudinali obbligatori per i politici, implementare aiuti di Stato per salvare la scena culturale messa in ginocchio dalla pandemia da Covid-19, ospitare i profughi ucraini e incentivare l’affluenza alle urne permettendo agli elettori di «restituire alla politica austriaca la serietà che merita». Propositi che, a giudizio degli analisti, avrebbero fatto breccia in particolare tra i giovani elettori di sinistra anti-establishment, desiderosi di esprimere un voto di protesta nei confronti del verde Van Der Bellen, formalmente presentatosi come indipendente ma di fatto sostenuto da tutti i principali partiti del Paese a eccezione dell’Fpö. «Grazie! Sono senza parole» ha scritto Wlazny a spoglio concluso. «In queste elezioni sono arrivato terzo e a Vienna secondo dopo Van der Bellen, davanti all’Fpö. Tra gli under 30 ci sarebbe stato addirittura un ballottaggio tra me e Van der Bellen. Grazie a tutte le persone che mi hanno dato fiducia e mi hanno votato. Questo significa molto per me».

Non è la prima volta che il Partito della Birra fa parlare di sé per i suoi risultati alle urne: già nel 2020 era riuscito a eleggere 11 consiglieri distrettuali alle statali di Vienna (Wlazny compreso), ma le preferenze totali non erano andate oltre l’1,8%. Alla luce di tale crescita, facile sarebbe intravedere delle analogie tra il Partito della Birra e il primo MoVimento 5 Stelle. Tuttavia quella di Pogo sembra destinata a restare un’organizzazione apolitica dall’intento esclusivamente satirico, al pari di quelle che l’hanno preceduta in Europa. Ad aprire la via fu in questo senso il Partito Polacco degli Amici della Birra, che nel 1991 si presentò alle prime elezioni libere dopo la caduta del comunismo ottenendo il 2,97% dei voti. Malgrado l’incoraggiante risultato si sciolse però due anni più tardi (peraltro non prima di essersi scisso in due fazioni: quella della «Birra Grande» e quella della «Birra Piccola»). All’eclettico rocker Wlazny perciò il compito di tenere la barra dritta in vista delle parlamentari del 2024. Dovessero portare in dote un altro exploit, si tratterà di un nuovo, validissimo motivo per brindare.

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