di Saverio Raimondo (ilfoglio.it, 26 maggio 2021)
Sabato sera l’Italia ha vinto l’Eurovision Song Contest, che, per chi non lo sapesse, è una gara d’appalto in mondovisione: al Paese vincitore spetta, infatti, l’organizzazione del festival l’anno seguente. Dunque saremo noi, l’Italia, a dover organizzare l’Eurovision 2022: eventualità che, secondo voci incontrollate, per anni abbiamo cercato di evitare (mandando cantanti scarsi o canzoni orripilanti) per risparmiarci l’onere organizzativo, ma soprattutto economico. Quest’anno però siamo andati per vincere: i 209 miliardi del Recovery ci consentiranno di mettere in piedi un Eurovision con i fiocchi – i costi di un Eurovision oscillano fra i 20 e i 30 milioni di euro, noi mettiamoci sopra 1 miliardo e crepi l’avarizia; con così tanti soldi riusciremmo persino a garantire la droga per le rock band affinché non risultino vergognosamente negative al test.
I soldi, però, sono l’unica cosa a non essere un problema: è già iniziata la guerra fra le città italiane su quale debba ospitare il grande evento internazionale. Roma o Milano? La prima si rivendica Capitale, sogna di tornare ai fasti veltroniani, promette di ripristinare le bighe al Circo Massimo e i leoni al Colosseo; la seconda “non si ferma”, ha il Forum d’Assago, è cinghiali-free. L’Eurovision incombe sulle campagne elettorali di entrambe le due città, con Raggi che assicura autobus ignifughi per tutte le nazioni in gara e Sala disposto a piantare un albero per ogni residente milanese che durante la kermesse dovesse lamentarsi del volume troppo alto della musica. Fra le due litiganti, godrà una terza? Torino trama nell’ombra, forse finiscono la Tav apposta; mentre Napoli sta rimettendo in piedi la rete di relazioni che le permisero di ospitare il G7 nel 1994 senza incidenti, con la new entry di un mastro fuochista che assicurerebbe eruzioni vesuviane spettacolari ma in sicurezza. Di certo questa gara nella gara risveglia anche il campanilismo più sopito; e non ci sarebbe da stupirsi se fra pochi mesi il tutto dovesse degenerare nel ritorno alle guerre feudali o al brigantaggio. Propongo, pertanto, una soluzione logica ed economica: organizziamo l’Eurovision a Sanremo, così lo accorpiamo al Festival e risparmiamo qualcosa – metti che rivinciamo e ci tocca organizzarlo pure nel ’23?
Ma le aperte ostilità fra città italiane non sono nulla rispetto a quelle fra conduttori televisivi: chi presenterà, infatti, l’Eurovision Made in Italy? Alessandro Cattelan, dicono i più: sa l’Inglese, è giovane, non sporca. Ma sono in tanti a volerlo bruciare, al punto che sarebbero già in corso trattative fra importanti manager televisivi e il Parlamento per far eleggere Cattelan al Quirinale per il dopo Mattarella, così da liberare il palco dell’Eurovision per qualcun altro. O altra, dicono i politicamente corretti. O altr*, dicono i più corretti ancora: non un “lui”, manco una “lei”, meglio un “loro” non binario ma bilingue. Propongo Pippo Baudo: ha un’età che ormai la sua sessualità, più che liquida, è liquefatta, per lui sarebbe un bellissimo fine carriera, e al termine della finale lo seppelliamo con tutti gli onori – anche se ancora vivo. Resta solo da sciogliere l’ultimo nodo: l’organizzazione. Non è mai stata il nostro forte, rischiamo la figura di merda globale. La soluzione c’è: affidiamo l’organizzazione dell’Eurovision 2022 al generale Figliuolo. Fatte le vaccinazioni, mettiamolo alla logistica delle canzonette: già mi vedo un hub per ogni Paese in gara e cantanti in scaletta per fasce d’età – cantano prima 80enni e fragili, poi a scalare. Appuntamento fra un anno.