di Michele Monina (linkiesta.it, 8 agosto 2018)
Datemi Wagner. O datemi almeno Cardi B. Anzi, lasciate perdere Wagner, datemi direttamente Cardi B, ché per affrontare decadenza e apocalisse tette e culi possono almeno essere di sollievo. No. Fermi. Ricominciamo. Scusatemi se per qualche minuto esco dal coma farmacologico nel quale mi sono infilato, anche per non assistere a tutto questo.Ma mi sembra di capire che una fotografia plastica della scena del crimine, oggi, sia necessaria, e il mio tenermi fuori dai giochi mi giova nell’avere non dico uno sguardo lucido, ma almeno asettico. A settembre 2017 avevamo salutato con sollievo l’estate della musica demmerda, vi siano di monito Despacito e Riccione, convinti di aver assistito, non solo in musica, al punto più basso delle nostre esistenze. Quello dal quale non si può che risalire, ripartire, al limite rinascere. Ci sbagliavamo. Anche parecchio. Se Despacito e l’estate 2017 erano l’inizio della decadenza, i barbari alle porte che ci coglievano ebbri ai nostri banchetti, pronti a distruggere tutto e lasciare rovine alle proprie spalle, l’estate 2018 è l’Apocalisse. Sì, l’estate giallo-verde, quella del “dagli al migrante”, dei porti dichiarati chiusi, dei tweet di Salvini, delle dichiarazioni pre-Galileo e Giordano Bruno riguardo ai vaccini, delle stragi di braccianti in stato di schiavitù schiacciati dentro i furgoni sulle strade pugliesi, questa è senza dubbio l’estate dell’Apocalisse. E visto che l’arte, anche quella popolare, da sempre si prende il compito di rappresentate l’oggi a futura memoria, la musica che gira in questo momento è anche peggio, se possibile, della musica demmerda del 2017. Andiamo con ordine, per quanto sia possibile andare con ordine nel raccontare il caos e la distruzione. I menestrelli di corte, leggi alla voce “quei giornalisti musicali che hanno deciso di dare in comodato d’uso il proprio culo al sistema, convinti che dimostrarsi entusiasti anche mentre i barbari sono ormai arrivati in città salverà loro la vita, ignari che saranno i primi a morire”, plaudono a un periodo di rinascita della nostra musica Italiana, intendendo tragicamente con questa la musica trap e tutta quella conventicola di canzoni usa e getta che stanno intasando le classifiche Fimi e delle radio, prodotte e interpretare da gente, scusate se non riesco a chiamarli artisti, con nomi degni di finire in un ricettario medico di un ospedale geriatrico più che in una playlist. Il succo del cantare dei menestrelli, evidentemente immemori di come i loro avi approfittassero del loro aspetto ridicolo, fatto di colori pastello e improbabili pedalini, per indicare che il re è nudo, non certo per leccargli il culo, è che se una classifica infila nomi come Irama, Capo Plaza, Emma Muscat, Rkomi, Biondo o Carl Brave, tutti giovani e in qualche modo nuovi, non necessariamente la notizia va accolta con entusiasmo. È una perfetta metafora di quel che sta succedendo in politica, aria nuova, non aria migliore (e forse neanche troppo nuova, a dirla tutta). Per dire, siamo convinti che sia un bene che Einar, cito un nome a caso, sia più in alto di un Luca Carboni? Essere giovani è un merito, un talento, qualcosa che implichi un diritto naturale a subentrare a chi è più vecchio o semplicemente più esperto? Perché sembra quasi che sia la gioventù a pesare sulle scelte di chi poi si va ad ascoltare le canzoni in streaming, unica leva che muove il mondo musicale oggi. Ecco, diciamo che lo streaming, la democrazia diretta della Rete in musica, l’uno vale uno delle sette note, ha notevolmente influenzato la musica che gira intorno. Perché se a pesare è un sistema che ha un pubblico molto giovane come unico interlocutore è normale che sia la musica che piace ai giovani a uscirne vincente. E ai giovani, questo ci dice quella sequela di nomi improbabili in una Top 10 decente, piace questa musica inconsistente. Musica democraticamente fatta con pizza e fichi, e si sente, e che usa un lessico poverissimo, questo sì perfetto specchio dei tempi. Abbiamo un Ministro dell’Interno, premier in pectore, che si esprime a suon di “rosiconi” e di frasi rubate a Benito Mussolini, vogliamo meravigliarci che i cantanti di oggi usino quattro parole in croce, sciatte e degne di analfabeti? Non basta, quelli che in teoria dovevano interpretare non dico il verbo della rivoluzione o della resistenza, ma quantomeno del dissenso, i cosiddetti indie, gente che viene dall’underground, finisce per essere intercambiabile a un Amore e Capoeira o altre cagate del genere, musica che non dico ci fa rimpiangere la Cardi B citata in esergo, al confronto Wagner, ma che ci fa implorare perché torni di scena Despacito, musica demmerda quantomeno ben fatta. Del resto, non dimentichiamolo, da noi la parabola geniale e commercialmente perfetta dei Carters, leggi alla voce i panni sporchi di casa Jay-Z e Beyoncé lavati in pubblico con grande beneficio per le nostre orecchie e per i loro conti in banca, è plasticamente rappresentata dalla finissima vicenda Fedez-Ferragni, a dimostrazione che anche nella merda siamo capaci di dare il peggio. Anzi, a proposito, ricorderete, spero, che oltre un anno fa vi raccontavo di come Fedez e J-Ax avessero scazzato. Bene. Ora lo hanno reso pubblico, ma voi continuate pure a credere alle favolette. Da noi non ci sono Cardi B, né Drake. Noi abbiamo Takagi e Ketra e i finti bagni di folla della Pausini (che strombazza sold out al Circo Massimo, dove in passato tanti artisti stranieri hanno portato oltre centomila spettatori, con solo quindicimila paganti). L’Apocalisse, lo ripeto. L’estate dei tweet di Salvini. L’estate giallo-verde. L’estate di Capo Plaza. Ogni momento storico ha la musica che si merita, quella capace di rappresentarla a memoria futura. Speriamo la razza umana perda in futuro l’udito, almeno questa gliela risparmiamo. Io torno in coma farmacologico, senza altre parole, nelle orecchie le nuove canzoni di Chiara Dello Iacovo, Mimosa Campironi, Serena Abrami, Patrizia Laquidara. La bellezza ci salverà dall’Apocalisse? Probabilmente no, ma ci farà almeno morire felici.