L’Esercito “fantasma” che ingannò i nazisti

(ilpost.it, 6 febbraio 2022)

Il primo febbraio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato una legge che conferisce ai membri del Ghost Army (“Esercito fantasma”) la Medaglia d’Oro del Congresso, il più alto riconoscimento civile statunitense insieme alla Medaglia presidenziale della Libertà. L’Esercito fantasma combatté durante la Seconda guerra mondiale ed era composto da oltre mille uomini, ma oggi ne rimangono solamente dieci, tutti ultranovantenni. Aveva un solo obiettivo: ingannare l’esercito nazista e depistare i loro alti comandi, inscenando – con raffinati mezzi tecnici – quello che è stato definito uno «show itinerante» fatto di finte campagne militari.

 

Il nome ufficiale del reparto era 23rd Headquarters Special Troops, un corpo di élite specializzato nell’ingannare i nemici e formato da artisti, attori, pubblicitari o comunque persone con una forte inclinazione alla creatività, i quali tra il 1944 e il 1945 riuscirono a organizzare più di venti finti campi di battaglia al confine tra Francia, Germania e Lussemburgo. Per farlo utilizzarono carri armati e aeroplani gonfiabili, altoparlanti molto potenti che diffondevano suoni di esplosioni e di artiglieria, e finte comunicazioni radio. Cercarono anche di dare l’impressione che l’esercito fosse ovunque. Impersonarono soldati di altre unità che si trovavano da tutt’altra parte, si cucivano i costumi da soli e applicavano emblemi sempre diversi sui veicoli, a seconda delle esigenze, per far sembrare che ci fosse un gran movimento di mezzi. Tra le altre cose si travestivano anche da alti ufficiali e si facevano vedere in pubblico in vari villaggi, per dare adito a pettegolezzi su presunte importanti operazioni in corso.

Tutto questo faceva parte di «un’atmosfera» che contribuiva a creare «l’illusione», per usare le parole degli stessi membri dell’Esercito fantasma. Uno dei loro trucchi più riusciti venne organizzato durante la campagna sul fiume Reno, verso la fine della guerra. L’Esercito fantasma posizionò un piccolo esercito gonfiabile fatto di finti cannoni, carri armati, aeroplani e camion, tutti dieci chilometri più a Sud rispetto al punto in cui l’esercito americano aveva effettivamente intenzione di attraversare il fiume e attaccare i tedeschi. Mandarono anche una serie di messaggi radio contraddittori, e con gli altoparlanti simularono il fracasso di chi sta costruendo pontoni di metallo per attraversare un fiume. L’esercito tedesco abboccò. E bombardò l’Esercito fantasma mentre più a Nord un vero contingente, fatto di veri mezzi militari, attraversava indisturbato il Reno.

Tra i sopravvissuti dell’Esercito fantasma c’è Bernie Bluestein, che ha 98 anni. Dopo la guerra ha fatto carriera nel design industriale, ma ha sempre avuto una propensione per l’arte figurativa: per l’Esercito fantasma creò una serie di poster, manifesti e cartelli da distribuire nei villaggi, e fece anche gli stencil per gli emblemi dei suoi compagni. «Per esempio feci un po’ di cartelli della Coca-Cola» ricorda Bluestein. «Così avrebbero pensato “Ecco, sono arrivati gli americani”». In un’intervista di martedì scorso, Bluestein ha detto che la medaglia del Congresso gli ha dato «un’indescrivibile soddisfazione», ma si è anche dispiaciuto del fatto che pochissimi veterani siano in vita per godersi questa onorificenza insieme a lui. Anche gli altri sopravvissuti, come Bluestein, sono quasi centenari. «Le cose che abbiamo fatto furono apprezzate da un sacco di gente all’epoca e neanche ce ne siamo accorti. È proprio bello sapere che il mio ruolo nell’esercito e nella vittoria della guerra sia riconosciuto».

Le operazioni dell’Esercito fantasma furono tenute segrete a lungo proprio per via del loro successo. Le tecniche adottate sarebbero potute tornare utili anche negli anni successivi, perciò il governo statunitense tenne segreta tutta la storia fino al 1996. Molti dei membri, come Bill Blass, Art Kane e Arthur Singer, ebbero una carriera di successo in campo artistico come fotografi, artisti o stilisti. Nel 2013 l’emittente pubblica statunitense Pbs fece un dettagliato documentario, molto apprezzato, che racconta la storia con numerose interviste alle persone coinvolte. La Universal sta anche lavorando da tempo a un film su questa storia – sembra che sarà diretto da Ben Affleck –, ma non sono noti tempi di lavorazione e di uscita.

 

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