di Costantino della Gherardesca (ilfoglio.it, 16 aprile 2019)
Sapete cos’è il dog-whistling? È un’espressione con cui negli Stati Uniti si definisce l’abitudine di inserire nel discorso politico delle parole chiave che per la stragrande maggioranza della gente hanno un significato vago (se non del tutto inoffensivo), ma che in realtà nascondono un messaggio assai più sottile e velenoso, intenzionalmente rivolto alla fetta di popolazione capace di decodificarlo.Non è importante che a parlare sia un senatore del Wyoming o una youtuber del Minnesota con i poster degli unicorni alle pareti: nella destra americana il dog-whistling è una pratica diffusa in qualsiasi livello del dibattito politico. Per esempio, se un suprematista bianco vuol propagandare efficacemente le sue stronzate hitleriane, non parlerà mai di nazismo né di “difesa della razza” (verrebbe subito riconosciuto per quello che è e messo al margine dell’arena politica), ma userà espressioni più inclusive e morbide come “difesa della cultura occidentale”. E se un fondamentalista religioso del Colorado vuol rivendicare il suo diritto a prendere a fucilate i medici che praticano l’aborto, non parlerà di come procurarsi un AK-47, ma invocherà le “radici cristiane” del suo Paese o il più universale “valore della vita”. In questo modo, anche le posizioni più fasciste possono presentarsi sotto mentite spoglie ed essere accolte nel discorso politico al pari di qualsiasi altra opinione civile. Chi ha orecchie per intendere, intenderà.
A dirla tutta, a spiegare il significato di dog-whistling basterebbe la traduzione letterale del termine. In inglese, infatti, il dog-whistle non è altro che il fischietto per cani, quell’aggeggio che produce un suono impercettibile al nostro udito, ma capace di mettere sul chi vive i vostri chihuahua nel raggio di tre chilometri. E così, come gli ultrasuoni fanno drizzare le orecchie ai cani, allo stesso modo tra noi umani c’è chi si accende ogni volta che sente pronunciare determinati concetti: parole a doppio fondo che, sotto una placida e rasserenante superficie, nascondono le peggiori intenzioni.
Ora, mi chiedo, io che sono un relativista queer libertino (con matrice economica induista) come faccio ad applicare questa tattica sublime? Certo, a differenza dei sogni erotici dell’estrema destra americana, la mia agenda politica non include né il genocidio né l’apartheid, ma contiene comunque dei temi piuttosto divisivi e posizioni difficili da sostenere apertamente in Italia. Io che sono un foucaultiano, come posso parlare di distruzione della monogamia e liberazione sessuale senza alienarmi l’elettore di centro? Come posso sostenere la liberalizzazione di tutte le droghe senza allarmare le mamme? Come posso pretendere la completa automazione senza spaventare i sindacati? E, soprattutto, come posso chiedere a gran voce il progresso e far passare il concetto induista dell’artha (benessere economico) senza terrorizzare i miei connazionali?
La risposta è una sola: anche io ho un drammatico bisogno di parole, concetti e riferimenti nazionalpopolari per creare il mio subdolo vocabolario da dog-whistler. Per esempio, se voglio minare l’istituzione familiare, non posso certo chiedere di rimpiazzare tutti i crocifissi con statue della dea Rati o di espropriare gli oratori per convertirli in una catena di Mineshaft (un locale Bdsm della New York tra i Settanta e gli Ottanta). In questo caso, una parolina apparentemente innocua per richiamare l’attenzione delle cellule di sovversivi sarebbe, semplicemente, “Elizabeth Taylor”, possibilmente in riferimento a film tratti da sceneggiature di Tennessee Williams. Quindi basterà citare Improvvisamente l’estate scorsa, La gatta sul tetto che scotta e La scogliera dei desideri. Da cittadino con orecchie capaci di intendere, se sentissi un qualsiasi primo ministro nominare uno qualsiasi di questi film mi preparerei immediatamente a marciare su Roma, fiero del fatto che di lì a poco il ministero della Pubblica istruzione verrebbe assegnato a una persona di etnia rom. E nelle scuole elementari italiane, quasi inutile specificarlo, distribuirebbero fumetti prodotti dal City Lights Bookstore di San Francisco che sintetizzano le teorie di Judith Butler.
E per quanto riguarda l’antiproibizionismo radicale? Non si possono certo gettare panetti di oppio tra la folla in Piazza del Popolo senza suscitare l’indignazione della gente, sempre più ottusa e ostile verso la poesia. Nella contorta era del dog-whistling, suggerirei a politici e youtuber di avvalersi in ogni loro apparizione della presenza di Ornella Vanoni e di lasciar fare tutto alla sua sublime astrazione lessicale. Basterebbero anche solo le note di Quei giorni insieme a te per evocare immagini di Florinda Bolkan nei primi anni Settanta, per promettere sia un ritorno alla pratica del dispendio fino all’oblio, sia un futuro in cui la necessità di presentare una ricetta medica al farmacista sarà solo, giustamente, un brutto ricordo.
E a proposito dell’artha? Come si fa a strizzare l’occhio a quella piccola minoranza di italiani che desiderano benessere economico, mobilità sociale e progresso senza essere scambiati (o smascherati) per dei crudeli sicari della globalizzazione? L’Expo 2020 di Dubai, dedicato ai temi di opportunità, mobilità e sostenibilità, potrebbe essere un’ottima occasione per fare una piccola inception globalista nelle menti dei luddisti. Nel padiglione italiano, infatti, potremmo presentare Patty Pravo in piedi su un cubo bianco, nuda e completamente struccata: una performance capace di offrire una sottilissima doppia lettura. Da una parte (superficialmente) un’ode al pauperismo più estremo, dall’altra una consacrazione della nuova carne.
Non solo susciteremmo una profonda invidia internazionale per avere alzato l’asticella concettuale dell’Expo, dato che in un solo colpo supereremmo l’intera filmografia di David Cronenberg, ma noi che siamo sensibili a questi segnali interpreteremmo l’opera per quello che realmente rappresenta: la scelta del nostro governo di abbandonare ogni istanza passatista per potersi finalmente dedicare alla realizzazione di un treno sotterraneo supersonico che unisca Milano ad Auckland.