di Enrico Varrecchione (linkiesta.it, 14 maggio 2024)
L’Eurovision Song Contest 2024, in quella che probabilmente sarà ricordata come l’edizione più controversa di sempre («la più controversa fino ad ora», direbbe il noto filosofo Homer Simpson), si è chiusa con la strana sensazione di aver portato a casa il necessario, passando però per le forche caudine di una settimana intensa. Insomma, poteva andare meglio, ma poteva andare decisamente peggio sotto ogni punto di vista. Lasciando l’analisi artistica ai critici musicali, si può dire con sicurezza, ammesso che ce ne fosse il dubbio, che nel festival della canzone europea si gioca una partita geopolitica neppure troppo sotterranea, il cui esito è stato abbastanza visibile nella suddivisione finale dei voti della giuria e del pubblico.
L’elefante nella stanza era la presenza di Israele, Paese per cui è stata richiesta l’esclusione da molti fronti a causa del coinvolgimento nel conflitto in Medio Oriente, una misura già applicata alla Russia. La ragione per cui l’Ebu, ufficialmente, ha rigettato questa ipotesi, è il mancato rispetto dei valori fondanti della competizione da parte del servizio pubblico televisivo russo, espressione diretta della volontà del Cremlino, a fronte di un atteggiamento ritenuto più indipendente da parte della Kan israeliana. Alcuni osservatori hanno ritenuto decisivo anche il ruolo giocato dal main sponsor della competizione, un’azienda israeliana di prodotti di bellezza.
La partecipazione di Eden Golan, con la sua canzone Hurricane (originariamente October Rain, dedicata alle vittime degli attacchi terroristici del 7 ottobre), ha causato sicuramente alcuni problemi di ordine pubblico al di fuori dell’Arena in cui si è tenuto il festival, ma la massiccia presenza di forze dell’ordine svedesi (coadiuvate dai colleghi danesi e norvegesi) ha fatto in modo che buona parte delle proteste si siano tenute in maniera pacifica. Vi sono stati alcuni arresti sia durante la semifinale di giovedì che durante la finalissima, tra i fermati anche l’attivista per il clima Greta Thunberg.
Sabato sera, Malmö, che il quotidiano israeliano di sinistra Haaretz ha ribattezzato “la Capitale svedese dell’antisemitismo” (probabilmente non andando troppo lontano dalla realtà dei fatti) era una polveriera. Quasi certamente una vittoria israeliana all’Eurovision avrebbe causato una violenta reazione sia in sala, dove il pubblico ha rumoreggiato parecchio durante l’esibizione di Eden Golan, sia all’esterno. Oltre ai problemi di ordine pubblico a Malmö, la questione sarebbe stata come e dove organizzare l’edizione successiva, compito che spetta al Paese vincitore in carica: l’Ucraina, avendo vinto nel 2022, avrebbe dovuto ospitare l’edizione del 2023, ma la guerra in corso ha costretto a spostare la sede nel Paese secondo classificato, il Regno Unito, mantenendo però una forte identificazione ucraina.
I sospetti di un possibile televoto orientato più dalle simpatie geopolitiche degli spettatori che non sulle qualità degli artisti in gara c’erano già stati quando la Rai aveva pubblicato, senza l’autorizzazione dell’Ebu, i risultati parziali della prima semifinale, da cui era emerso che il quaranta per cento del televoto era orientato a Israele. La scelta di votare per Eden Golan è stata comunicata pubblicamente su numerosi canali social da un pezzo dell’opinione pubblica europea, e questa strategia si è rivelata efficace: Israele ed Eden Golan sono stati i secondi più votati dal pubblico (con il massimo punteggio da parte di quattordici Paesi, Italia inclusa, e dal Resto del Mondo), dietro il divertente brano del croato Baby Lasagna Rim Tim Dagi Dim.
Per il secondo anno consecutivo, tuttavia, è stato il voto della giuria a rendersi decisivo, con il premio finale andato alla svizzera The Code, cantata da Nemo. In questo caso, il dominio elvetico si è concretizzato con il record di ventidue Paesi con il punteggio massimo (dodici punti a testa), un margine tale che ha impedito la rimonta croata e la possibile sorpresa israeliana. La giuria ha piazzato la Francia al secondo posto, la Croazia è rimasta al terzo e Israele lontanissimo dal podio, con i pochi voti dei giurati duramente fischiati dal pubblico in sala. Anche qui, non sono mancate le controversie: l’artista italo-norvegese Alessandra Mele ha rifiutato di annunciare alla Nrk che Israele avrebbe ottenuto otto punti dal suo Paese ed è stata sostituita all’ultimo minuto.
Le polemiche non si sono fermate alla presenza israeliana: primo nella storia del festival, è stato squalificato a gara in corso l’olandese Joost Klein, autore del brano Europapa, già in passato oggetto di dibattito per un concerto tenuto a San Pietroburgo dopo l’attacco nel febbraio del 2022 all’Ucraina e una canzone in cui – ironicamente o meno non è dato sapersi – aveva comunicato le proprie simpatie filorusse. La ragione della squalifica non è dovuta ai suoi possibili legami con il Cremlino, ma ad un episodio, seguito da denuncia, che si sarebbe verificato durante le prove generali del venerdì con una fotografa della tv di Stato svedese, Svt: la polizia non ha rivelato i dettagli, l’accusa pare essere quella di minacce o addirittura aggressione nei confronti della fotografa.
L’appuntamento è in Svizzera nel 2025: situazione ideale per gli appassionati italiani, che potranno contare su una trasferta breve; per la Rai, che non si dovrà sobbarcare i costi di gestione; per l’Ebu e il suo contestatissimo produttore Martin Österdahl, che avranno un anno di tempo per organizzare un’edizione meno controversa nel Paese neutrale per eccellenza. Sperando che la situazione internazionale, nel frattempo, non degeneri.