L’eccezionalità di Franklin Delano Roosevelt

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(ilpost.it, 12 aprile 2025)

Ottant’anni fa, il 12 aprile 1945, Franklin Delano Roosevelt si accasciò sulla scrivania mentre posava per un ritratto ufficiale: morì per un’emorragia cerebrale. A 63 anni, aveva cominciato da 85 giorni il suo quarto mandato come presidente degli Stati Uniti. Era anche tornato da meno di due mesi dalla Conferenza di Yalta, dove con Winston Churchill e Josif Stalin aveva preso decisioni fondamentali per il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale.

La sua morte non fu proprio una sorpresa, dato che le sue condizioni di salute erano precarie da tempo: già nel 1921 gli era stata diagnosticata la poliomielite, ma fu comunque eletto presidente e rimase in carica per 12 anni, dal 1933 al 1945. Le sue politiche economiche, conosciute come New Deal, permisero agli Stati Uniti di superare la Grande Depressione; fu poi il presidente che portò il Paese alla vittoria nella Seconda guerra mondiale.

Anche solo queste parziali informazioni danno la dimensione dell’eccezionalità di Roosevelt: Democratico, innovatore nel campo della comunicazione politica, è oggi citato in modo unanime fra i grandi presidenti americani, insieme a George Washington e Abraham Lincoln. In questi giorni di crisi dei mercati e di nuove guerre commerciali vengono spesso citate la sua capacità di “far tornare grande l’America” dopo una profonda crisi economica, e di superare le tendenze isolazioniste del Paese costruendo solide relazioni internazionali ed espandendo l’influenza degli Stati Uniti sul resto del mondo.

Franklin Delano Roosevelt, spesso indicato con le iniziali Fdr, non fu l’unico Roosevelt presidente. Theodore, cugino di quinto grado e zio della sua futura moglie, lo era stato fra il 1901 e il 1908: era Repubblicano e riformista, e il suo volto è uno dei quattro scolpiti sul monte Rushmore, con Washington, Lincoln e Thomas Jefferson. Fdr nacque nel 1882 a Hyde Park, nello Stato di New York, in una famiglia ricca e borghese. Theodore fu un modello, sia nel percorso di studi sia nei primi passi in politica. Fdr si sincerò di avere la sua approvazione quando si candidò per la prima volta con il partito rivale, quello Democratico, al Senato dello Stato di New York.

La sua carriera politica procedette spedita fino al 1920, prima con un incarico di governo, segretario alla Marina, poi come candidato vicepresidente del Democratico James Cox. In quelle elezioni vinse largamente il Repubblicano Warren Harding, e Roosevelt passò temporaneamente al settore privato. Nell’estate del 1921 era in vacanza sull’isola di Campobello, in Canada, quando contrasse la poliomielite, malattia virale al tempo molto diffusa ma incurabile, che può provocare paralisi e morte. Roosevelt perse l’uso delle gambe, ma non volle rassegnarsi: negli anni si sottopose a lunghe e dolorose riabilitazioni e agli appuntamenti pubblici non si mostrò mai in sedia a rotelle. Camminava muovendo con le anche le gambe bloccate in strutture di metallo, o aiutandosi con stampelle e bastoni.

Nei primi anni di convalescenza abbandonò la vita pubblica, ma la sua carriera politica continuò grazie agli interventi e agli aiuti del giornalista Louis Howe (a lungo suo principale consigliere) e della moglie Eleanor Roosevelt, un’altra lontana cugina sposata nel 1905, con cui ebbe sei figli. Il matrimonio entrò in crisi una decina di anni dopo, quando lei scoprì una relazione del marito con Lucy Mercer, la propria segretaria: da allora il rapporto tra Franklin ed Eleanor divenne meno intimo e più incentrato su questioni ufficiali e politiche.

In quegli anni Eleanor divenne un personaggio pubblico ed ebbe una notevole rilevanza nella formazione politica di Fdr, per le attenzioni verso le classi sociali più povere e il suo attivismo per i diritti civili. In seguito, durante la presidenza del marito, si batté perché più donne lavorassero negli uffici del governo e si oppose a una legge che avrebbe di fatto impedito di votare agli afroamericani. Nel 1928 lei e Howe convinsero Fdr ad accettare la candidatura a governatore dello Stato di New York: vinse quelle elezioni e le successive (nel 1930). Durante il suo mandato sostenne iniziative per migliorare le condizioni della popolazione colpita dalla crisi economica, innescata dal grande crollo della Borsa del 24 ottobre 1929 (il cosiddetto “giovedì nero”), dovuta a quella che oggi definiremmo una “bolla speculativa”.

Grazie alla popolarità anche nazionale costruita da governatore, nel 1932 ottenne la possibilità di candidarsi alla presidenza con il Partito Democratico (cosa che allora veniva decisa nella convention di partito) contro il Repubblicano Herbert Hoover, la cui risposta alla crisi era stata giudicata insoddisfacente dagli elettori. Già da governatore, e poi durante la campagna elettorale, Roosevelt intuì le grandi potenzialità della radio per instaurare una comunicazione diretta con gli elettori. La usò molto, anche perché i maggiori quotidiani del tempo avevano un approccio conservatore e Repubblicano. Vinse le elezioni, e da presidente varò la formula delle cosiddette “chiacchiere al caminetto”, messaggi letti alla radio in cui si rivolgeva direttamente agli americani con un tono informale, cercando soprattutto di rassicurarli.

Roosevelt divenne presidente in un momento particolarmente problematico. La frase più celebre del suo discorso inaugurale, il 4 marzo 1933, fu: «L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa». A quel punto, la crisi economica era profonda: molte banche avevano chiuso o rischiavano di fallire, la produzione industriale era calata di quasi la metà rispetto al 1929, i disoccupati erano più di 13 milioni, agricoltori e allevatori vivevano spesso ai limiti della povertà. La risposta di Roosevelt fu il New Deal, il “nuovo patto”, una serie di riforme fiscali in senso progressivo (ossia in cui le tasse crescono col reddito), di interventi dello Stato nell’economia, di sostegni diretti e tutele sociali per disoccupati e poveri. Molte misure furono varate durante i primi cento giorni del suo primo mandato: una scadenza temporale simbolica oggi nota, ma che fu in qualche modo “inventata” proprio da Roosevelt.

Il New Deal non fu un intervento sistematico e organizzato, ma più una serie di misure e tentativi che si susseguirono, anche con repentini cambi di direzione, che lo stesso Roosevelt rivendicò. Disse che era importante fare qualcosa, e che se quel qualcosa non funzionava, «si cambiava». Le prime misure non funzionarono granché, ma dal 1935 il cosiddetto secondo New Deal, con misure più radicali, migliorò decisamente la situazione economica di molti statunitensi.

Nelle elezioni del 1936 si assicurò un secondo mandato vincendo in 46 dei 48 Stati (Alaska e Hawaii non facevano ancora parte degli Stati Uniti), dopodiché intraprese anche una sorta di conflitto con la Corte Suprema, perché provò ad approvare una legge che ne rendesse la composizione più favorevole ai suoi obiettivi politici. Fu anche il primo a dotarsi di uno staff personale, cosa che poi divenne la norma.

Nel 1940 decise di candidarsi a un terzo mandato: allora il limite di due mandati era una consuetudine rispettata sin dai tempi di Washington, ma non ancora codificata (lo divenne nel 1951, con un emendamento costituzionale). Il partito lo appoggiò, il vicepresidente John Nance Garner lo sfidò alle primarie Democratiche e perse, alle presidenziali Roosevelt prese 27 milioni di voti contro i 22 del candidato Repubblicano Wendell Willkie.

In politica estera portò gli Stati Uniti dall’isolazionismo all’interventismo: Roosevelt era diventato presidente la prima volta mentre in Germania Adolf Hitler assumeva l’incarico di cancelliere, nel 1933. Sei anni dopo, con l’invasione tedesca della Polonia, iniziò la Seconda guerra mondiale. La maggioranza degli statunitensi sostenne fino al 1941 posizioni di neutralità e non intervento nella guerra. Roosevelt si mosse nei limiti del suo mandato per sostenere economicamente la resistenza del Regno Unito. Intanto, durante gli anni della guerra, gli Stati Uniti uscirono definitivamente dalla crisi economica, diventando la principale potenza industriale del tempo e aumentando la loro sfera d’influenza militare: nelle Azzorre, alle Bahamas, in Islanda e in Groenlandia.

Dopo il bombardamento giapponese di Pearl Harbor, la base navale americana alle Hawaii, nel 1941 gli Stati Uniti di Roosevelt entrarono infine in guerra, prima contro il Giappone e poi contro tutte le potenze dell’Asse. Le “chiacchiere al caminetto” s’intensificarono e nel dicembre del 1943, con uno slogan, il presidente disse di essere passato da «Dottor New Deal a Dottor Vinci la Guerra». Fra le sue decisioni più criticate ci fu quella di chiudere in campi d’internamento oltre 100mila persone giapponesi (o statunitensi di origine giapponese) durante la guerra.

Nel 1943 Roosevelt incontrò Churchill e Stalin a Teheran, in Iran, e poi a Yalta, in Crimea, nel febbraio del 1945, quando le sue condizioni di salute erano già piuttosto compromesse. Nel 1944 aveva comunque voluto candidarsi a un quarto mandato, nonostante soffrisse di arteriosclerosi: fu rieletto, con Harry Truman come vicepresidente, che gli succedette quando morì. Negli ultimi tre mesi in cui rimase in carica, Roosevelt lo tenne all’oscuro di praticamente tutto quello che stava succedendo: Truman scoprì solo dopo essere diventato presidente che gli Stati Uniti stavano preparando la prima bomba atomica con il “progetto Manhattan”, guidato dallo scienziato J. Robert Oppenheimer.

Roosevelt fu uno degli uomini più amati e odiati dai suoi contemporanei nella storia statunitense: i sostenitori lo ritenevano un salvatore dell’economia e della democrazia, gli oppositori criticavano l’eccessivo interventismo in vari ambiti, che, a loro parere, minava i principi del libero mercato e del capitalismo e aumentava in modo anticostituzionale il potere del governo federale. Per gli storici fu un abile politico e un amministratore di talento, che seppe guidare gli Stati Uniti in un periodo particolarmente complesso.

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