di Davide Chinellato (gazzetta.it, 27 febbraio 2021)
Zlatan chiama, LeBron risponde. Sorride James, a petto nudo dopo aver guidato i Lakers alla vittoria su Portland, quando nella conferenza stampa post partita via Zoom gli viene chiesto se vuole rispondere alle critiche di Ibrahimović. Lo svedese del Milan aveva detto di non sopportare quando un atleta, raggiunto un certo status, parla di politica. Proprio come fa LeBron, che ha fatto da tempo del motto More than an athlete, più di un semplice atleta, uno dei suoi modi di essere che lo rendono probabilmente l’atleta più famoso del mondo. Uno che le punzecchiature di Zlatan le rispedisce al mittente. Con classe e un sorriso. «Divertente che queste parole vengano da lui, perché nel 2018 in Svezia ha fatto le stesse cose» dice LeBron, arrivato evidentemente preparato.
«Non era stato lui, quando era tornato in patria, a dire che sentiva un certo tipo di razzismo in campo solo perché il suo cognome era diverso da quello degli altri? Era lui, giusto?» dice LeBron James senza mai nominare Ibrahimović, ma arrivando dritto al bersaglio. Zlatan nel 2018 aveva accusato la stampa svedese di non risparmiargli critiche, a volte andando anche oltre: «È razzismo sistematico, non diretto ma sistematico. Se possono scegliere tra difendermi e attaccarmi, scelgono di attaccarmi» aveva accusato Ibra. «Lo fanno perché mi chiamo Ibrahimović e non Andersson o Svensson. Se mi chiamassi Andersson o Svensson, credetemi, mi difenderebbero a prescindere, anche se rapinassi una banca. Mi difenderebbero e basta, perché quello che ho fatto io non l’ha mai fatto nessuno».
LeBron rilancia: «Sono la persona sbagliata da criticare perché parla di politica senza saperne niente. Mi preparo prima di parlare, i miei commenti arrivano da una mente molto educata». Poi aggiunge: «Non c’è modo che io stia zitto, che mi limiti allo sport: capisco quanto sia potente la mia voce, quanto usando la mia piattaforma possa aiutare a combattere le ingiustizie, quelle che vedo nella mia comunità. Ho i 300 ragazzi della mia scuola di Akron a cui pensare, che vedono ingiustizie ogni giorno. Hanno bisogno di una voce, e io voglio essere la loro voce».
LeBron cita anche Renee Montgomery, l’ex stella Wnba da ieri una dei tre proprietari delle Atlanta Dream. La squadra era di proprietà di una candidata repubblicana per il Senato degli Stati Uniti che aveva criticato le giocatrici per il loro impegno sociale. Le giocatrici, da quel momento, hanno abbracciato e sponsorizzato il candidato avversario: era nettamente indietro nei sondaggi quando l’hanno fatto, ha finito per vincere le elezioni. «Chiedete a lei cosa sarebbe successo se fossi stato zitto» ha detto LeBron, che durante le elezioni ha lanciato una campagna in collaborazione con Michelle Obama per promuovere il voto e aiutare le persone a destreggiarsi nei meandri della burocrazia americana per poterlo esercitare.