di Catherine Cornet (internazionale.it, 24 marzo 2023)
Ogni anno, nel Medio Oriente e nel Nordafrica, durante il mese di Ramadan non c’è spirito di festa senza le serie tv: “Oltre a pensare alla nostra crescita spirituale, non vediamo l’ora di buttarci sul divano e guardare tutte le puntate”, scrive il sito palestinese Sawa. “Perché guardare delle serie durante Ramadan è una cosa positiva?” chiede il sito marocchino Pressamedia, che fa un elenco dei vantaggi: “Per edificarci, sviluppare la comunicazione in famiglia commentando insieme le puntate, divertirci e rilassarci!”.
E come Pressamedia o Sawa tutta la stampa araba si riempie di liste, consigli e selezioni di nuove serie e nuove stagioni. Secondo Medianet nel 2022, nei primi giorni del mese sacro per l’Islam i canali YouTube delle tv tunisine hanno registrato oltre ottanta milioni di visualizzazioni in più della media, e nel corso del mese le entrate pubblicitarie sono quintuplicate in tutto il Nordafrica. Questa crescita è ampiamente dovuta all’aumento dei telespettatori delle serie tv. Infatti, già molto tempo prima dell’arrivo di Netflix e di altre piattaforme, i musulmani durante il Ramadan hanno sempre fatto binge watching in famiglia di notte, mentre si attende il levare del Sole e di fare colazione prima dell’alba. Nella maggior parte del mondo musulmano, inoltre, il Ramadan è un mese di vacanza dalla scuola per i bambini, che quindi non devono andare a letto presto.
Se l’Egitto è stato il primo Paese a esportare le sue produzioni nel mondo arabo, dal 2010 è stato superato da quelle siriane, turche e dei Paesi del Golfo. Le telenovelas turche hanno raggiunto addirittura un successo globale e sono arrivate fino all’America Latina, terra tradizionalmente esportatrice di questo genere. Dal 2018 la Turchia ha superato gli Stati Uniti e secondo La revue des médias è oggi il primo esportatore mondiale di serie tv.
Le serie storiche riaccendono vecchi conflitti
Uno dei generi più apprezzati delle serie televisive del Ramadan è quello a sfondo storico e spirituale. Da oltre vent’anni Iran, Arabia Saudita o Turchia raccontano la loro versione della storia del Medio Oriente e dell’Islam tramite le fiction. I periodi preferiti sono quelli dei grandi dominii musulmani del Medioevo: la dinastia degli Omayyadi, degli Abbasidi o dei Fatimidi, comunque periodi precedenti le colonizzazioni.
Quest’anno, proprio mentre l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita hanno firmato un accordo di riavvicinamento storico con la mediazione della Cina, la serie che fa più discutere per il Ramadan è un biopic saudita sul califfo Muwaiya. Il fondatore della dinastia degli Omayyadi, che regnò a Damasco dal 661 al 680, è considerato dagli sciiti il responsabile dell’uccisione del califfo Ali e di conseguenza della fitna (discordia), la divisione religiosa del 661 tra sunniti e sciiti che dura tuttora. L’annuncio della serie ha creato mille polemiche e scatenato una reazione del leader sciita iracheno Moqtada al Sadr, che, in un tweet del 14 febbraio, ha chiesto il ritiro del film saudita: “Trasmettere tali serie è contro la nuova politica moderata della fraterna Arabia Saudita”. Il canale Mbc Iraq ha poi annunciato che non la manderà in onda. Costata oltre cento milioni di dollari, sarà invece diffusa in tutti gli altri Paesi arabi.
Prima della guerra, la Siria aveva superato l’Egitto come principale produttore di serie in Medio Oriente. Con il conflitto, attori e registi siriani hanno continuato a produrre spostandosi in Turchia o in Libano. Quest’anno una produzione girata in Turchia è stata particolarmente oggetto di discussione, racconta l’agenzia di stampa siriana NpaSyria: Sorridi generale racconta la storia di un contadino ossessionato dal potere che entra nell’esercito e raggiunge le più alte cariche, eliminando – oltre ai componenti della sua famiglia – tutti coloro che si oppongono al suo potere. Il giornale siriano Ennab Baladi riporta che molti critici hanno riconosciuto nel film il conflitto reale tra i due fratelli Assad, Hafez e Rifaat, ma “al di là degli Assad, la serie cerca di mostrare quanto le dittature arabe abbiano governato il loro popolo con il ferro e il fuoco”.
Nuovi ruoli
Dall’Egitto arrivano le storie di donne potenti, o comunque in lotta per ottenere più diritti. In Sotto tutela la super star egiziana Mona Zaki lavora in un cantiere navale per sostenere la sua famiglia, mentre un’altra famosa attrice egiziana, Nelly Karim, torna con la sua serie Omla Nadra, che racconta di una donna tradizionale dell’Alto Egitto che lotta per ottenere la sua eredità (nel Paese le donne ricevono ancora la metà dell’eredità rispetto agli uomini). L’attrice e cantante del momento, Ruby, impersona invece Safia al Fares, una professoressa di Psicologia all’Università americana, che la famiglia spinge a tornare al suo villaggio per candidarsi come sindaca, come racconta il giornale egiziano Youm al Sabaa.
Queste storie mostrano un cambiamento nella società che non rispecchia le leggi civili o religiose del mondo arabo, e contribuiscono a un rinnovamento: “Il Ramadan è diventato un’opportunità per riscrivere la storia e aprire il dibattito sulle questioni di genere. Le serie tv stanno aiutando a prendere atto delle disuguaglianze e della necessità di affrontare la questione del maltrattamento delle donne nella sfera privata e pubblica”, scrive il ricercatore Eman Alhussein per il Arab Gulf States Institute di Washington.
Infine, con le serie tv del 2023 si scopre un filone di nuovi comici arabi specializzati nella stand up comedy. Stand up ya Arab è fatto da pillole di trenta minuti presentate da sessanta comici provenienti da tutto il mondo arabo. Accanto a talenti noti, provenienti dall’Egitto, dal Libano o dalla Giordania, per la prima volta appaiono sulla scena araba dei comici – ma anche molte comiche – dall’Arabia Saudita, il Kuwait o gli Emirati.
La qualità delle serie del Ramadan si è molto evoluta negli ultimi anni, spiega il sito Al Jadid, ed è anche molto aumentata “la capacità di trattare argomenti sempre più delicati”. Permettono alle diaspore arabe di mantenere il contatto con la realtà del loro Paese di origine, racconta France 24, mentre per gli spettatori europei rappresentano una grande opportunità di scoprire società che stanno cambiando, spesso molto più velocemente dei propri governi.