di Paolo Fiore (agi.it, 3 settembre 2022)
Il social non è più solo intrattenimento: diventato agorà, è ormai un canale necessario per i partiti. Ma si ritrova a fare i conti con la disinformazione. E con una domanda: si può parlare di politica in un minuto? Dai balletti al voto. TikTok ha smesso di essere il social dei playback. Lo è ancora, ma non è solo quello. A differenza di altri grandi social network, TikTok è sempre stato votato all’intrattenimento puro e non si è mai proposto come agorà. Eppure lo è diventato. E qui, come sempre, la situazione si complica. Un social che diventa luogo pubblico di discussione attira idee, messaggi, ma anche bufale e disinformazione. Facebook se ne è accorto con Cambridge Analytica, TikTok quest’anno durante la guerra in Ucraina. Come la pubblicità, la comunicazione politica è – in un certo senso – laica: non bada al palcoscenico, ma va ovunque ci sia una platea da raggiungere.
Ecco perché TikTok sta diventando centrale anche in tema di elezioni, soprattutto quelle americane di midterm.
I precedenti elettorali (poco incoraggianti)
Già nelle elezioni federali tedesche dello stesso anno, un rapporto della Mozilla Foundation aveva definito gli sforzi del social per arginare la disinformazione «largamente senza successo»: video segnalati «in modo improprio» e «account falsi» che si fingevano politici o influenti personalità tedesche suggerivano «che la piattaforma non riesce a far rispettare le proprie linee guida». In vista delle elezioni presidenziali colombiane, alcune video-bufale sono state tra i contenuti più condivisi, mentre Ferdinand “Bongbong” Marcos è stato eletto presidente delle Filippine anche grazie a una strategia social che ha riscritto, ripulito e mitizzato la storia della sua famiglia e di suo padre, il dittatore Ferdinand Marcos. Nelle elezioni in Kenya dello scorso agosto, la Mozilla Foundation ha individuato 130 video e 33 account che «manipolano la realtà» o «incitano all’odio». «La nostra indagine mostra come i contenuti falsi prosperino su TikTok, ottenendo in alcuni casi un coinvolgimento maggiore rispetto ad altre piattaforme», ha spiegato l’autore Odanga Madung.
Il problema della moderazione
Dopo la pubblicazione del rapporto sulle elezioni in Kenya, TikTok ha rimosso alcuni dei video incriminati. Ma le falle sembrano strutturali: oltre agli algoritmi – sempre perfettibili –, ci sarebbe una moderazione che non avrebbe né il tempo né le risorse «adeguate per limitare la disinformazione elettorale». Un ex moderatore ha infatti confermato che spesso gli incaricati della revisione «non conoscono il contesto» di un contenuto e non sono, quindi, in grado di capire se un video viola le norme della piattaforma. Anche perché i moderatori vengono incoraggiati a correre parecchio, al ritmo di un migliaio di video al giorno. In sostanza, ha spiegato l’ex dipendente del social network, «non c’era modo di identificare se un video era reale o falso». La conclusione della Mozilla Foundation è quindi dura: «Piuttosto che imparare dagli errori di piattaforme come Facebook e Twitter, TikTok sta seguendo le loro orme, ospitando e diffondendo disinformazione politica».
Il social è il messaggio
Adesso che si avvicinano le elezioni di midterm, con un volume di contenuti decisamente superiore a quello keniano, il tema della disinformazione si ripropone con ancora maggior forza, anche per alcune caratteristiche proprie di TikTok. L’app incrocia video, audio e testo. Seppur brevi, quindi, si tratta di contenuti complessi, che accavallano voce e immagini presi da contesti differenti, giocando spesso sull’ironia e sul paradosso. Come confermato dal caso Kenya, è quindi molto più difficile moderare un video di TikTok rispetto a un tweet o a un post di Instagram. E se lo è per un umano figurarsi per un’intelligenza artificiale, che tutto è fuorché ironica.
Anche la brevità che caratterizza i post è un elemento che orienta i contenuti. Il limite originario dei 15 secondi si è allargato, ma la durata consigliata per essere efficaci si aggira comunque attorno ai 20-30 secondi. È raro che video più lunghi riescano a diventare virali. È una tendenza che riguarda – bene o male – tutti i social (e non solo i social), ma in TikTok è più accentuata. Argomentare un concetto politico in così poco tempo diventa, quindi, complicato. Tendono a fare più presa messaggi diretti, divisivi, brevi. La capacità d’intercettare i gusti della platea è, inoltre, ancora più importante rispetto ad altre piattaforme. L’algoritmo e il funzionamento dell’app propongono e premiano contenuti popolari, anche quando vengono pubblicati da utenti con un numero di follower ridotto. È chiaro che essere seguiti conta, ma i singoli contenuti di totali sconosciuti hanno la possibilità di diffondersi rapidamente.
TikTok e le elezioni di midterm
Negli Stati Uniti (ma non solo) e su TikTok (ma non solo) l’attenzione si sta alzando in vista delle elezioni di midterm, in programma a novembre. Fino a ora, personalità vicine al partito repubblicano sono state più abili nel comprendere e intercettare lo spirito di TikTok. L’onda lunga dell’assalto al Campidoglio non si è ancora esaurita. Advance Democracy, ong che studia i fenomeni legati alla disinformazione, ha di recente individuato sei hashtag che sostengono le teorie del complotto, tra le quali quella della vittoria truccata di Joe Biden. Nel solo mese di luglio hanno avuto 38 milioni di visualizzazioni, prima che la piattaforma intervenisse per rimuovere alcuni contenuti.
Anche i Democratici, però, hanno capito la forza di TikTok e stanno provando a sfruttarla. Il comitato del partito ha creato un hub on line per coordinare i contenuti e lo stile di canali social e influencer con simpatie democratiche. «Il nostro obiettivo è fornire ai sostenitori e ai volontari gli strumenti per condividere il nostro messaggio con i loro network», ha spiegato a The Verge Shelby Cole, vice-responsabile del marketing del comitato. Si tratta di contenuti pubblicati da diversi utenti, ma accomunati da alcuni elementi grafici e dal tentativo di discutere un argomento in modo più approfondito. Cioè, in parte contro la brevità ed estemporaneità genetica di TikTok. La strategia non convince l’editorialista di Vox Rebecca Jennings: «I democratici stanno provando a conquistare TikTok con fatti e sfumature, ma l’algoritmo ricompensa l’opposto». Qualcosa però si muove: da quando è stato lanciato, lo scorso febbraio, l’hub ha formato circa mille sostenitori e contribuito a pubblicare video visualizzati 83 milioni di volte.
Le contromisure (già viste?)
Come già fatto da altre piattaforme in passato, con alterni successi, anche TikTok ha garantito il suo impegno per «proteggere l’integrità della piattaforma, in particolare durante le elezioni». Le inserzioni politiche a pagamento sono vietate. I creator verranno istruiti per evitare che infrangano le regole. Il social sta sviluppando un “Elections Center”, con l’obiettivo di diffondere «informazioni autorevoli» e utili tra chi si mostra interessato ai contenuti elettorali. Post e profili autorevoli legati alle elezioni di midterm verranno accompagnati da specifiche etichette, promuovendo l’uso di hashtag più istituzionali, come #elections2022 e #midtermelections.
Oltre alla consueta miscela di moderazione umana e tecnologia per intercettare contenuti contrari alle norme della piattaforma, TikTok sta collaborando con alcune organizzazioni per verificare l’attendibilità dei post. Nel caso in cui siano borderline, non verranno oscurati ma penalizzati dall’algoritmo. La lista delle azioni e delle promesse non è molto diversa da quella stilata in passato da Facebook o Twitter. Il social controllato da ByteDance afferma, però, di aver «imparato dalle passate esperienze elettorali». Si spera.