di Simona Zappulla (agi.it, 2 maggio 2020)
Da protezione anti Covid a oggetto del desiderio fashion, specie se con logo in vista. È quella che in gergo viene chiamata “luxury face mask”. La mascherina si reinventa: nei prossimi mesi non sarà più banalmente bianca o verde chirurgica, e rappresenterà anche un nuovo business per gli stilisti italiani che, dopo le perdite da lockdown, punteranno anche su questo.
Ne è certa Silvia Vacirca, storica della Moda e docente di Moda e Costume a Torino e alla Sapienza di Roma, che all’Agi spiega: «Sulle ultime passerelle, per la stagione primavera-estate, la mascherina era già comparsa e con l’esplosione del Coronavirus, diventerà una sorta di feticcio». C’è Marine Serre, racconta, giovanissima stilista francese, appena 28 anni, «super nota tra la generazione Zeta e i Millennial per il logo con mezzaluna e lo stile post apocalittico». Oppure, «c’è la mascherina di Off White, tutta gialla con il brand nero, la più cercata e desiderata su Google dagli adolescenti». Il costo arriva fino a 300 euro. Per non parlare di quelle griffate dell’Alta Moda, decisamente più care: «In pelle, firmate Louis Vitton, o quelle Gucci: Billie Eilish», cantautrice statunitense di appena 19 anni, «popstar molto famosa tra i giovanissimi, è stata la prima ad andare sul red carpet indossando la mascherina di Gucci, poco prima che scoppiasse l’emergenza del Covid» ricorda l’esperta. E infatti Vogue il 30 gennaio – molto prima dell’inizio della quarantena mondiale – pubblicava la foto della cantante con mascherina Gucci, tulle nero con il ricamo del logo GG a coprirle il viso, parlando di quello che sarebbe stato il trend del 2020. «Il trend in corso è sicuramente rinforzato dalla pandemia», conferma Vacirca all’Agi. «Già in Asia, dai tempi della Sars e per cultura, la indossano; per rispetto nei confronti degli altri o contro l’inquinamento». Ora, inevitabilmente, è una tendenza che dilagherà anche dalle nostre parti.
Quali saranno i colori più di tendenza? «Il bisogno di colore c’è» risponde, «perché ha un significato energetico. Negli Usa vanno molto le stampe colorate di Hello Kitty che introducono un elemento forse infantile, ma che è anche di conforto e dà energia». Di certo, avvisa, no a colori «tetri come nero, marrone, verde “clinicale” che trasformano lo spazio pubblico in un’enorme sala d’attesa d’ospedale». Un po’ di attenzione, quindi, alla cromoterapia e agli abbinamenti: «Se sei bionda, meglio i colori pastello, chiari, rosa, verde menta. Se sei mora, i colori caldi”. Ma «il rosso no» ammonisce, «perché è un colore che “allarma”». Indossare la mascherina, spiega ancora, servirà anche a ravvivare un look su cui pesa la pandemia. Sono tre le possibili conseguenze a livello di moda, dice Vacirca: potranno esserci i rappresentanti del “tutismo”, i creativi e i rivoluzionari.
«Esistono diverse scuole di pensiero» spiega, «c’è il “tutismo” di coloro i quali, anche per fronteggiare lo stress, continueranno, come stiamo facendo in tanti in questo periodo di quarantena, a vestirsi con la tuta. C’è un aspetto psicologico del vestire e può accadere che quando usciremo dalle nostre case continueremo a voler restare dentro il “bozzolo” di tute, felpe molto grandi, vestiti morbidi». Insomma, una tendenza casual «che potrebbe diventare sempre più forte in un Paese come l’Italia dove, comunque, c’è un’attenzione sempre molto forte per la bella figura». Oppure, una «seconda scuola di pensiero sostiene che, come accaduto dopo la seconda guerra mondiale, scoppi una voglia di creatività. Nel 1947 le donne vestivano con tailleur tristi, militari, squadrati, anche per scarsità di tessuti, poi è arrivato Christian Dior che ha inventato la donna fiore… Dopo questo nostro periodo di quarantena» prosegue «può esserci, quindi, il desiderio di tornare a fare shopping e di vestirsi in modo più creativo, elegante, sartoriale, insomma di agghindarsi. Una teoria» spiega «che si basa sulla storia della moda, che vede nello shopping il segno di una fiducia nel futuro. E io personalmente lo spero, spero che l’industria ritrovi la creatività – sia i designer sia noi fruitori – perché ultimamente avevo notato un po’ di conformismo». Infine, terzo filone, i rivoluzionari: «C’è chi, con simpatie di Sinistra, vorrebbe rivoluzionare il sistema moda, sperando che si consumi di meno, una sorta di rivoluzione verde con le aziende che cambiano il modo di approvvigionarsi di materie prime. Quindi, la pandemia viene vista come una grande occasione per attuare questa rivoluzione».
E lei quale filone sceglie? Escludendo il “tutismo”, «io credo che l’uno non escluda l’altro: restare nel nostro sistema economico si può, riuscendo ad inquinare meno ma non impoverendoci o consumando meno, piuttosto investendo in ricerca, conoscenza e innovazione». Perché, ci tiene a ricordare Vacirca, «stiamo parlando della moda, un’industria fondamentale che dovrebbe ripartire il 4 maggio. Noi facciamo parte di una filiera mondiale, non dimentichiamolo». Ultima notazione da “storica” del mondo della moda a proposito dei consumi: «Nei momenti di crisi economica si vende di più la parte di sopra, top e simili, mentre quando l’economia va bene si scelgono pantaloni e gonne, per un fattore di dinamismo sociale. Quindi» conclude, «in periodo di “mezzibusti” e riunioni su Zoom, come è questo che viviamo, le fabbriche si orientano così, confermando la tendenza in corso».