di Enrico Dal Buono (linkiesta.it, 25 settembre 2020)
Bruce Wayne si sveglia e legge le notizie sul cellulare: dicono che il Joker ha rapinato la Federal Reserve. Ma oggi Bruce è miracolosamente lucido. Apre l’armadio della Batcaverna e quel costume con le orecchie da topo gli sembra per la prima volta ridicolo. S’infila una polo, prende la metro e scova il Joker, che sta armeggiando con cerone e giacche pastellate nel proprio bilocale. «Ma ti pare che io possa rapinare la Fed?» gli dice quello, allargando le braccia scheletriche. Attaccano a parlare di genitori assenti, di nevrosi narcisistiche, della passione che li unisce: i travestimenti di Halloween. S’ingollano un Tavor a testa e vanno a mangiarsi un cheeseburger.Qualcuno pagherebbe mai il biglietto per un film del genere? Da bambino ho visto un mediometraggio di Walt Disney chiamato Il drago riluttante. Non sapevo cosa significasse riluttante e allora il cartone mi deluse parecchio. Questo rammollito d’un lucertolone azzurro non aveva voglia di sputare fuoco e d’incenerire cristiani, se ne stava tutto il santo giorno sui prati a ingozzarsi di tè e biscottini. I cattivi sono necessari alle storie di successo. Le fiabe finiscono con “e vissero per sempre felici e contenti” perché nessuno vorrebbe ascoltare il ménage familiare della principessa e del principe, alle prese con esorbitanti bollette del gas per il riscaldamento del castello, dopo che l’orco o la strega sono stati sconfitti.
Nel documentario di Netflix The social dilemma un programmatore pentito dice che le fake news funzionano meglio, cioè fanno il gioco degli investitori pubblicitari di Google e Facebook, perché la verità è noiosa. La fake news convincono gli utenti a passare più tempo attaccati a uno schermo. Buttata lì in questo modo la frase del pentito resta enigmatica. Perché la verità sarebbe noiosa? In era post-nichilista non possiamo più credere in buona coscienza che la verità sia un dato di fatto, l’indubitabile e totale accordo tra una realtà oggettiva e la nostra rappresentazione di quella realtà. La verità è un atteggiamento. La consapevolezza che, se una verità c’è, noi non possiamo conoscerla in maniera assoluta.
Essere veritieri significa mettere in perenne discussione le proprie idee, relativizzarle, ripetersi «magari mi sbaglio io». Oggi il contrario di verità non è falsità: è fanatismo. La verità è che non ci sono i Cattivi. Mentre ogni fake news contribuisce alla polarizzazione della società. Il racconto dell’attualità imita le trame dei blockbuster. È più divertente pensare che ci sia una categoria di persone assolutamente cattive piuttosto che ipotizzare individui impastati di bene e di male, di generosità ed egoismo, proprio come noi. E invece, ecco la linea tracciata col gesso a metà della lavagna. Di qui l’avida alta finanza e di là noi, di qua i beceri sovranisti e di là noi, di qua gli immigrazionisti, i negazionisti, i mascherinisti, i fascisti, i comunisti, i podisti. Dove vedi un “-isti” guarda meglio: troverai Buoni e Cattivi. È tranquillizzante immaginare che, una volta battuti gli “-isti” di turno, il tempo tornerà nei propri cardini.
Prima che sociale la questione è narrativa. In tutto l’Occidente trionfano estremismi di Destra e di Sinistra. Quelli che, per farla breve, definiamo populisti. Ci sediamo alla scrivania, il computer davanti, infiliamo la mano nel sacchetto di popcorn e ci godiamo lo spettacolo dell’eroe che lotta col cattivo. Siamo spettatori lusingati dalla proposta del regista: «Se condividi questo contenuto ti offro un ruolo da comparsa». Il Potere incarna le caratteristiche di un cattivo di successo: è misterioso, forte, spietato. Il suo volto cambia a seconda dei punti di vista ma funge allo scopo anche se, messi alle strette, lo immaginiamo come Sauron. Era soltanto un Grande Occhio Infuocato e questo è bastato per allevare generazioni di fanatici de Il Signore degli Anelli.
Combattere i fanatici secondo la loro stessa logica manichea li rafforza. È gente spaventata e confusa, quanto lo siamo noi. Le risposte semplici a questioni complesse piacciono a tutti. «Mi ha lasciato? Certo, perché non mi merita». Il centro soccombe perché il centro è noia – centro inteso non in senso politico ma in senso filosofico. Il centro soccombe perché al botteghino i Supereroi batteranno sempre Ingmar Bergman e il suo Cavaliere che, invece di tagliare la testa al mostro, si siede a giocare a scacchi con la Morte – due maroni. I fanatici sono là giù in fondo, con le spalle al muro: non possono che guardare il mondo in una sola direzione. Il centro è il luogo del dubbio. Perché, lì, puoi voltarti da un lato e dall’altro.
Il centro è l’articolazione pubblica della complessità dell’animo umano. Il centro è come un amico che ti racconta una barzelletta così: «C’era un tizio vestito da carabiniere. A ben pensarci potrebbe essere un carabiniere ma potrebbe anche non esserlo. Era appoggiato al cofano di un’auto, ma lui assicura che si trattava di un paracarro. Un passante dice che stava compilando un verbale. Secondo sua moglie però le stava scrivendo una lettera d’amore. Aspetta, faccio un passo indietro. In realtà la suocera del carabiniere giura che non si siano mai sposati ma, data la lunga convivenza…». Ecco perché il centro non ha molti amici.