di Gianmichele Laino (giornalettismo.com, 17 novembre 2020)
Pensavamo che il debunking su Benito Mussolini fosse ormai un vecchio esercizio di stile, dal momento che l’ormai tradizionale e nostalgico motto del “quando c’era lui” è stato smentito in tutto o in parte dalle narrazioni successive di storici ed esperti. Invece, ci sembra di capire che per i boomer questa cosa funzioni ancora e che possa fare ancora tendenza raccontare che il capo del fascismo fondò l’Inps e stabilì la settimana di quaranta ore. Lo ha detto Bruno Vespa, la mattina del 17 novembre, ad Agorà [su Rai 3 – N.d.C.], presentando il suo libro sul fascismo Perché l’Italia amò Mussolini.Vespa ha deciso di presentare Mussolini come una sorta di influencer ante litteram – una cosa che, visto il culto della personalità e i rituali del fascismo, in fondo, ci può stare –, che però fu amato perché ha fatto anche cose buone. E, all’interno di queste ultime, ne individua almeno un paio che meriterebbero chiaramente un’analisi più approfondita: «Nel libro» dice Bruno Vespa «racconto gli anni del consenso: Mussolini ha avuto un consenso enorme, all’estero e anche in Italia, per le sue opere sociali. Ha creato i contratti nazionali, l’Inps, la settimana di quaranta ore».
Ora: che Mussolini non abbia istituito le pensioni è pacifico. Basta andare sullo stesso sito dell’Inps per capire quale sia, in realtà, la cronologia dell’Istituto di previdenza. Nel 1898 nasce la Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e per la vecchiaia degli operai, che è l’antenata più anziana dell’attuale Inps. Nel 1919 l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia diventa obbligatoria per i lavoratori dipendenti privati. Ok, qualcuno potrebbe dire che il moderno nome (e concetto) dell’Inps sia nato con Mussolini nel 1933. In realtà, a quell’altezza cronologica, la previdenza si chiamava Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale, mentre il nome Inps venne attributo in maniera definitiva nel 1944, dopo la caduta del fascismo.
Ovviamente, poi, tutti conosciamo la storia del sabato fascista. Ma questo significò davvero una riduzione della settimana lavorativa a quaranta ore? In realtà, negli anni del fascismo, per lo più la settimana lavorativa era di quarantotto ore, distribuita al massimo in otto ore al giorno. Le rivendicazioni per la settimana di quaranta ore arrivarono soltanto nei decenni successivi, con le lotte sindacali e le trattative sulla contrattazione collettiva. La settimana da quaranta ore, insomma, fu resa possibile soltanto dalla legge del 24 giugno 1997 n. 196. Mezzo secolo dopo l’epoca fascista.
La cosa che più stupisce, nonostante diversa letteratura di successo sul tema (ad esempio, citiamo l’ottimo Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, scritto e pubblicato nel 2019 da Francesco Filippi), è che Bruno Vespa abbia continuato la sua operazione di promozione del libro su Mussolini senza essere interrotto dal contraddittorio della conduttrice di Agorà Luisella Costamagna. Così, almeno per chi utilizza ancora la tv come mezzo di comunicazione principale, la storia del “ha fatto anche cose buone” può continuare a ritagliarsi il suo spazio.